
Un pensiero emarginato nell’ereticità perché offriva argomenti per una diversa interpretazione dei Vangeli e della Sacra Scrittura. Oggi, dopo il romanzo e il timore di un film sacrilego, non è la corsa a svelare il mistero del Graal che ci incuriosisce. Non è la corsa a dare una spiegazione all’esistenza o meno del Priorato di Sion e della possibilità che ci sia una discendenza reale, identificabile in una progenie di Gesù giunta in Europa con Maria di Magdala che ci preoccupa come cristiani. Né il pensiero che si voglia tentare di recuperare un ruolo della donna all’interno dell’universo cattolico in termini di sovversione di un dogma maschile. Né, che si cerchi di affermare verità esoteriche che non siano limitate all’economia di un romanzo, alla curiosità e al film, ridisegnando momenti dell’evoluzione della storia dell’Occidente cattolico alternando misteri e dubbi tra identità complesse, come Leonardo, e istituzioni forti nel mondo come l’Opus Dei.
Il Codice da Vinci propone, è vero, una serie di enigmi che affondano il loro fascino in altrettanti misteri che si nascondono nelle pieghe della storia. Quella stessa storia che ha usato per molto tempo la semplicità popolare, offrendole miti ed eroi, e che ha creato verità ortodosse, per necessità di potere. Una storia, ad esempio, che non spiega ancora oggi il mito della Madonna Nera. Un mito che avvolge comunità diverse in Europa, ed anche in Calabria. Quella fede verso una identità etnica che poco ha della trasfigurazione della personalità di Maria e che si è diffusa proprio nei primi anni del Cristianesimo ortodosso. Quel culto popolare che ci avvicina al mistero di Maria di Magdala, alla sua etnicità, all’enigma delle sue origini, al suo non essere di carnagione chiara, al suo ruolo marginale in una storia che per molti secoli è stata scritta da un pensiero unico e che ci porta inconsapevolmente a credere ad una Maria non sempre indistinta. E così, fra verità e falsità, la verità del Codice muta il suo obiettivo finale.
Non sovvertire un ordine religioso costituito, ma dimostrare la paura della discussione. Il timore di dover prima o poi ridefinire il confine fra ortodossia necessaria e conoscenza gnostica. Una paura sulla quale l’uso del mito, per finalità politiche e di potere, finisce per dare frutti diversi da quelli sperati, dove la conoscenza popolare rischia di avvicinarsi alla storia più di chi la storia stessa la racconta. Un timore che a noi occidentali, costruttori di idee attraverso miti iconoclasti, ci fa dimenticare che la forza di una fede, fra dubbi e falsità, rimarrà sempre nella ragionevolezza delle tesi e dei valori professati. Nella capacità di tralasciare ragioni politiche e di potere per le quali già molti fedeli, gnostici nell’eresia, e tanti scismi hanno fatto si che la comunità cristiana pagasse nel tempo un prezzo altissimo di sangue per affermare un cattolicesimo universale ortodosso ed indiscusso. Un cattolicesimo cristiano molto spesso poco incline alle ragioni dell’universalità dell’uomo e della sua relatività.