Urne chiuse finalmente e apriamo l’uovo. Fra sorprese e polemiche ognuno, in questa vigilia di Pasqua, può cercare di dare una propria interpretazione ai risultati elettorali di questi ultimi giorni. Ognuno può scegliere se correre, in maniera molto sudamericana, verso una contestazione peronista del risultato o ergersi a vittorioso epilogo di una battaglia all’ultimo voto combattuta senza quartiere. Tuttavia il quadro nazionale non muta. Un quadro dove è rappresentata la vera sensazione degli italiani. Una sensazione di cautela, che per pudicizia o senso di rassegnazione, diventa sempre più forte, al di là della responsabilità dimostrata nell’andare a votare. Una prudenza che dimostra l’esistenza di un Paese reale.
Un Paese fatto di emozioni e di sentimenti, di necessità, che devono trovare una risposta in un’azione politica concreta, seria, responsabile, capace di restituire aderenza alla stessa competizione politica, di guardare alle priorità di un Paese in bilico, ad esempio, fra mercati competitivi difficili da penetrare e un sistema finanziario che non agevola la crescita dei capitali di rischio con una riduzione progressiva degli investimenti in attività produttive e, con questa, delle opportunità di lavoro. Così come indicato in una recentissima trasmissione televisiva dall’onorevole Minniti, certamente vi è una superficialità da parte dei partiti nell’attribuirsi un ruolo chiaro, reale, sia in termini di programma che di volontà nel trasformare in obiettivi le aspettative degli italiani. Manca, cioè, a destra come a sinistra, una vera e propria capacità di analisi e di percezione del Paese reale. Di quell’Italia quotidiana che vive le ansie del proprio futuro e che chiede realismo, proposte concrete, soluzioni, risposte immediate e semplici, comprensibili alle domande di sicurezza e di stabilità di una società molto frammentata e ancora democraticamente in crescita. Di quell’Italia reale fatta di gente che lavora fra mille difficoltà e che non crede nelle leadership forti ma vorrebbe una guida credibile, responsabile.
C’è un Paese reale che nell’incertezza del meno peggio si è diviso in due, che si confronta su una linea grigia che rende sempre più sottile il confine fra gli estremi e che guarda ai due schieramenti, molto eterogenei in verità, sempre con maggiore prudenza. E’ questo il significato da attribuire ad una vittoria sul filo e ad una sconfitta ai centesimi. Non ci sono, e non ci possono essere, altre spiegazioni o analisi accademicamente corrette per capire la semplicità di un messaggio così chiaro uscito al di fuori dell’urna pre-pasquale. Al pensiero di un elettorato che guarda oggi al dover vivere, ed essere testimone, di un periodo interlocutorio della storia del Paese.
Una transizione confusa verso un futuro dal quale ci si aspetta una qualità della politica, e dei politici, che si dimostrino veri testimoni di una democrazia matura.
Una classe politica protagonista di un Paese reale e non attrice di nuove fiabe post-elettorali da segreterie politiche costruite sui sogni di alcuni e non sulla quotidianità del Paese.
Un’Italia che merita di più, molto di più, per storia, cultura e capacità di inventiva e per valori democratici difesi in passato e di cui ancora oggi, a quanto pare, si è fatto poco tesoro.