"…La democrazia non è solamente la possibilità ed il diritto di esprimere la propria opinione, ma è anche la garanzia che tale opinione venga presa in considerazione da parte del potere, la possibilità per ciascuno di avere una parte reale nelle decisioni…”
Alexander Dubcek

Una questione di immagine

Una rivincita democratica. La rivincita dei bronzi.

I Bronzi di RiaceE' unico, raro ...forse impossibile. Ma nell'estate mediterranea in una Calabria assolata e... isolata, si pensa di riproporre un laboratorio nuovo di genetica artistica quasi a ridefinire in termini di normalità la riproduzione di capolavori o di opere d'arte e che ciò sia legittimata nella clonazione e ad essere così moltiplicati a piacere più di quanto già non sia stato fatto nelle scale più disparate. Ed è strano che lo spirito classico che sottende una siffatta proposta areni così penosamente nell'affermazione seria e disinteressata di un pronunciamento popolare, poco classico ed aulico, che difende le proprie identità culturali già più volte compresse o annullate da logiche di potere locale e nazionale, mischiate da una poco aderente, se non erronea, concezione di governance.

La vicenda dei bronzi di Riace è paradossale nella sua concezione quanto sarebbe scandalisticamente sorprendente riprodurre le icone, le teste di pietra, dell'isola di Pasqua o la Gioconda di Leonardo, o vendere tanti bei menhir da ricostruire in qualche giardino l'atmosfera di Stonehenge. E tutto questo, magari affidandosi al beneplacito delle comunità che si spoliano del loro patrimonio per offrirlo in surrogato, e pronto consumo, ad una consumistica domanda di cloni che non apprezza nessuno: nè l'arte, nè la cultura o la tradizione di un popolo. Riprodurre legalmente i bronzi di Riace e, magari, esportarli in serie non favorirebbe certamente la Calabria. Non sarebbero efficaci ambasciatori della regione nella loro persa originalità. Forse dei soprammobili, un po'pesanti in verità, o arredi per giardini.
 
Ma i bronzi, loro malgrado, restituiti alla terra dopo secoli, sarebbero stati vittima soprattutto dell'ennesima riprova della validità del nemo profeta in patria tanto quanto chi, per difendere proprie originalità o capacità è costretto, volente o, suo malgrado nolente, ad esportare se stesso al di fuori di una Calabria che non ti riconosce quando ci sei e nè tantomeno quando ci vorresti tornare con le tue esperienze o con le tue proposte. Che i bronzi possano essere un simbolo di una comunità è evidente e forse anche comprensibile di fronte ad un'assente simbologia che priva la nostra terra di una sua identità culturale, venduta ora agli occupanti di ieri, ora ad un credo borbonico d'èlite del medio periodo, oggi ad una riproposizione di un neoliberalismo tardopiemontese, molto romano nelle dinamiche, riproposto da un federalismo apparente secondo logiche del divide et impera.

La vicenda dei bronzi nella sua grottesca, perchè non vi è termine più appropriato, purtroppo, verità di fatto dimostra del come si cerchi, ogni estate, di porre l'attenzione sulla provocazione di un espediente per arginare un'emorragia turistica che ci colpisce puntualmente ogni anno. Un male che si ripete, al di là dei sondaggi, che vegeta sulla non concreta valorizzazione di un patrimonio che si depaupera ogni giorno per l'indifferenza in un senso o per la banalizzazione commerciale nell'altro. La Calabria sembra essere una terra a cui la via di mezzo non è concessa. Saranno ragioni storiche, dilemmi economici, un'incomprensione di fondo che non ci permette di riappropriarci del nostro passato più vero, privato dai retaggi del potere imposto dagli altri e dall'accesso ad una migliore coscienza di sè.

Il referendum sui bronzi ha un significato storico. Rappresenta una delle più importanti e dirette manifestazioni di democrazia diretta determinatesi in un tentativo di governance locale alla quale i cittadini non potevano non partecipare.  Il paradosso dei bronzi è il paradosso di chi crede, ancora, erroneamente, in una governance quale espressione di un potere fine a se stesso che può prescindere dalle volontà della comunità per il solo fatto che sia stato rappresentativamente attribuito. Ma la volontà di una comunità, o della maggioranza di questa, non sempre coincide con quelle di chi governa, magari pur essendone l'espressione politica. Governance, purtroppo, significa molto di più che governare. E'un termine che ha un significato impegnativo. Che presuppone responsabilità diretta sia dal basso verso l'alto che viceversa.
 
Nell'accezione giuridica anglosassone, e nel diritto dell'Unione Europea, diritti che forse l'eccesso di romanismo ci priva della comprensione, per governance si intende una partecipazione diffusa dei cittadini al processo decisionale affidato a chi ha il compito di guidare una comunità. Per questo il referendum sui bronzi non deve essere un episodio a sè, nè può essere rimosso come un accidente. Esso è la definizione concreta, e l'esempio, per chi soffre di miopia politica e giuridica, di una nuova concezione di partecipazione che affida alla comunità in quanto tale il potere del controllo su chi... governa.  Ed è un momento interessante di valutazione critica di una comunità che matura al di fuori delle scelte politiche contingenti. Una comunità che, finalmente, inizia a dimostrare la maturità di chi ha una coscienza di sè. Di chi dei simboli, e della loro preziosità ed unicità, chiede che gli venga riconosciuto il diritto esclusivo di deciderne la sorte, che difende l'esclusiva unicità delle proprie tradizioni o dei propri beni e gelosamente li tutela. Al di là di ogni retorica, al di là di ogni strumentalizzazione politica di parte.

Che i bronzi possano essere un simbolo di una comunità è evidente e forse anche comprensibile di fronte ad un'assente simbologia che priva la nostra terra di una sua identità culturale, venduta ora agli occupanti di ieri, ora ad un credo borbonico d'èlite del medio periodo, oggi ad una riproposizione di un neoliberalismo tardopiemontese, molto romano nelle dinamiche, riproposto da un federalismo apparente secondo logiche del La vicenda dei bronzi nella sua grottesca, perchè non vi è termine più appropriato, purtroppo, verità di fatto dimostra del come si cerchi, ogni estate, di porre l'attenzione sulla provocazione di un espediente per arginare un'emorragia turistica che ci colpisce puntualmente ogni anno.

Un male che si ripete, al di là dei sondaggi, che vegeta sulla non concreta valorizzazione di un patrimonio che si depaupera ogni giorno per l'indifferenza in un senso o per la banalizzazione commerciale nell'altro. La Calabria sembra essere una terra a cui la via di mezzo non è concessa. Saranno ragioni storiche, dilemmi economici, un'incomprensione di fondo che non ci permette di riappropriarci del nostro passato più vero, privato dai retaggi del potere imposto dagli altri e dall'accesso ad una migliore coscienza di sè.

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