Fra gli argomenti estivi che dominano l’inizio della stagione è sempre più ricorrente la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina.
Orgoglio progettuale in itinere, eccellente ambizione, vecchia idea di grande opera da ascrivere nel guinness dei primati, struttura che rappresenterà un case studynei corsi di architettura e di ingegneria del futuro, sembra che il destino di una Regione sia affidato solo alla volontà di realizzare questo tentativo di unire due lembi di un’Italia diversa ad un’idea di Europa espressa da un indefinito od opportunistico senso di appartenenza. Scrissi un articolo in passato che fu ripreso sotto altro nome per i soliti motivi di opportunità.
Oggi, leggendo e rileggendo le opinioni di studiosi, oltre che valutando le tesi politiche che sottendono, a favore o contro, la realizzazione di una simile struttura, mi sembra che i dubbi e gli interrogativi sulla prioritaria necessità di realizzare il Ponte, già costosamente studiato sulla carta e sui modellini, siano ancora validi o, forse, più veri di quanto non lo fossero ieri. Infatti, al di là delle valutazioni scientifiche, nonostante le perplessità espresse, mi sembra che l’avventura del Ponte sullo Stretto sia l’ennesima prova del come, seppur a fronte di un’opera importante, si sia perso o celato il vero senso dell’emergenza.
Mi chiedo, così, e se lo chiedono molte persone comuni, quale incidenza strategica avrà un’opera simile sullo sviluppo del territorio calabrese? Quale positiva, tangibile, ricaduta potrà esservi in termini di efficienza dei servizi a fronte della spesa da affrontare per la realizzazione e la gestione dell’opera nell’approssimatività odierna dell’organizzazione dei trasporti sulle due regioni, quando non vi è né una linea ad alta velocità da Roma a Reggio Calabria e visto che per raggiungere Palermo ci vorranno ancora quattro ore a fronte di un recupero di appena venti minuti grazie all’attraversamento su superficie?
Ma, ancora, come si presenta la Regione all’avventura epocale nel ricercare un simbolo di successo e di credibilità persosi nella diaspora continua fra società di studio e consulenze ultradecennali che avrebbero consentito di utilizzare al meglio le risorse a ciò stanziate e spese? Quante scuole avremmo ristrutturato e quante strade avremmo reso più percorribili? O quali interventi sul territorio geostraziato della Calabria potevano e dovranno ancora essere condotti per attribuire alla Regione la dignità di competere e confrontarsi con pari realtà amministrative a maggior livello di organizzazione del territorio in termini di qualità della vita e di opportunità di sviluppo economico?
Quale turismo si fermerà, senza scorrere velocemente lontano dalla Calabria, terra di passaggio, a fronte di una maggior facilità, e minor costo, con la quale si raggiunge la Spagna, o il Portogallo o le spiagge maghrebine se ad un’autostrada, eterno cantiere si realizza solo una corsia di emergenza senza prevedere una terza corsia lavori durante? O se la viabilità dei piccoli centri è rappresentata da un semplice getto di bitume senza cordoli, segnaletica senza una sua dimensione turistica? Insomma, servirà il Ponte, e il conseguente sforzo economico a creare sviluppo senza essere un ulteriore incremento di cemento, a non abbrutire il territorio marginalizzando alla sua ombra bellezze sconosciute o vituperate da un abusivismo evidente?
Servirà, il Ponte, a dimostrare che la Calabria, perché non mi sembra molto siciliana la volontà, riuscirà a fare tutto da sola dimostrando di disporre di quel know how tecnologico e di risorse sul quale le altre regioni hanno costruito il proprio successo e il proprio vantaggio competitivo? Servirà, e in che termini, il Ponte, a migliorare un flusso turistico appannaggio di tour operators non calabresi migliorando la viabilità e l’inserimento della Regione nell’ambito delle reti transeuropee dalle quali è ancora oggi esclusa? Servirà, il Ponte, a qualificare la cultura del territorio, attribuendo importanza ai centri storici, al significato, perso, di arredo urbano quale biglietto da visita per l’ospite di domani?
O servirà, il Ponte, a distrarre l’attenzione della pubblica opinione sui veri problemi della Regione, trasferendone la curiosità sull’Opera Magna e dimenticandoci di quelle piccole opere altrettanto urgenti che servono a dare luce e lustro ai centri abitati, o efficienza a scuole ed ospedali che ancor oggi sono in molti casi privi di servizi, fatiscenti e con arredi approssimativi o snobbati da una migrazione verso una miglior formazione o miglior offerta sanitaria? O servirà, ancora, ad impedire una rivoluzione tecnologica da attuarsi verso la formazione di risorse umane che emorragicamente perdiamo a favore di altre regioni che promettono di più ed investono sulla capacità del singolo e non su altre competenze, Lega o non Lega?
Mi sembra di rivedere la guerra delle Falkland-Malvinas fra l’Argentina ed il Regno Unito. Un episodio, non l’unico, nel quale le difficoltà di un governo venivano nascoste indirizzando l’attenzione dell’opinione pubblica su un obiettivo “nazionale”, dimenticando i problemi della …nazione, quelli veri, reali, concreti ed urgenti nella loro immediatezza. In ogni caso, distacco o meno, Sicilia o Calabria, il Ponte fisicamente potrà unire due comunità, due spazi, umanizzati se si vuole, ma non potrà da solo unire chi crede nella propria identità di comunità e di spazio economico- produttivo e chi perde ciò in ragione di una visione, personale, limitata di medio termine senza far recuperare un tempo sempre più fermo alle comunità marginali della propria terra in virtù di un’analisi obiettiva dei propri limiti, delle proprie necessità e delle emergenze. Per questo, che il Ponte non sia un semplice lusso che ancora oggi non potremmo permetterci.