La democrazia è un modello che prevede una partecipazione alla discussione da parte di ogni cittadino. E la democrazia, in questo, diventa anche il luogo del confronto, della discussione e della capacità di far emergere sentimenti e animi che non trovano in altri modelli oligarchici, fondati sull’intolleranza, la reticenza, la mistificazione, il monopolio dei mezzi di informazione, la pressione giudiziaria e di polizia, la possibilità di affermare un principio dialettico di confronto. La democrazia può anche presentare dei conti amari. Può essere uno strumento non piacevole per coloro i quali, grazie ad essa, oggi governano allorquando viene messa in discussione la loro credibilità. Ma certamente non è, se sana e non malata di faziosità, un’occasione di prevaricazione, ma un’opportunità di partecipazione.
Nella trasmissione di Santoro credo che si sia presentata una Calabria nota. Molto nota a tanti in Italia e ai calabresi in particolare. Credo che il coraggio di presentare la Calabria in tutti i suoi aspetti, anche quelli meno “comodi” per chi governa la regione, debba essere visto come un esempio di capacità di sensibilizzare per l’ennesima volta l’opinione pubblica nazionale, ma prim’ancora calabrese, sulla vera emergenza che colpisce la nostra terra. E, cioè, di presentare una classe politica immobile, che si reitera negli anni dove ognuno di noi può ritrovare le stesse persone, le stesse idee, lo stesso modo di vittimizzare una terra che solo un rigurgito di dignità, accettando di non cadere nella trappola del clientelismo, potrà aiutare a superare un “Medioevo” politico.
Solo una volontà di affrancarsi da qualunque debito di riconoscenza potrà finalmente abbandonare a se stessa una classe politica sempre più autoreferenziale, chiaramente alla deriva, e riformulare gli assetti istituzionali attraverso un cambiamento generazionale significativo, urgente. La trasmissione di Santoro non ha fatto un favore alla ‘ndrangheta. Non lo credo e non lo crediamo in molti. Lo dico da calabrese, nato e cresciuto nella locride. Lo penso da studente di un liceo che ha vissuto momenti di tragedia in un territorio insanguinato da faide e omicidi. Annozero ha presentato una Calabria in difficoltà.
Una regione con una sanità non adeguata agli standard minimi di qualità ed assistenza che ritroviamo, invece, in altre realtà anche più piccole del Paese. Una sanità troppo occupata a soddisfare domande di altro tipo. Una sanità nella quale chi ha bisogno è costretto a muoversi come nelle nebbie più fitte, cercando ancoraggi possibili nelle conoscenze, consapevole che ancora oggi è al di fuori della Calabria (e del giro delle cliniche private e delle strutture opportunamente convenzionate) che il cittadino comune affida le speranze di una cura. La trasmissione di Santoro mi ha fatto rivedere lo stesso ospedale in cui io e mia madre, assaliti dalle zanzare nell’astanteria di rianimazione di un’afosa notte di luglio di dieci anni fa, aspettavamo di conoscere le sorti di mio padre, morto da lì a qualche ora.
Ho rivisto tra quegli ambienti il ricordo di un primario chirurgo proveniente da Ivrea ma troppo bravo, forse, con i pochi mezzi a disposizione, per restare al Sud e per questo ritornato al Nord. La trasmissione mi ha fatto rivedere oggi lo stesso pronto soccorso della scorsa estate, con le ambulanze che non dispongono di pensilina, senza un accesso diretto a dei poliambulatori adeguati per un Dipartimento di Emergenza e Accettazione. Ho rivisto una radiologia con l’astanteria in cui portai mia madre e mi resi conto che non c’era una pavimentazione adeguata (non c’erano le piastrelle all’ingresso del Reparto) e che nulla era cambiato dalla morte di mio padre. Annozero ha presentato una classe dirigente in debito di ossigeno, in difficoltà di progetto, dove ciò che muta, da anni, è solo il colore dello sfondo dei manifesti elettorali dei candidati di sempre, dal momento che sopravvivono nelle persone che dai tempi del liceo trovo ancora oggi in auge traghettando se stessi da destra a sinistra senza remore o scrupoli programmatici. No.
Annozero non ha fatto un favore alla ‘ndrangheta. Annozero ha messo a confronto ciò che pensano gli italiani attraverso le analisi di Travaglio, giovani e politici locali, affinché lo spettatore si rendesse conto dello spessore degli uni e degli altri in piena libertà di coscienza e di opinione. Annozero ha permesso ad ogni attore di rappresentare se stesso. Ha evidenziato il gap intellettuale profondo tra chi pensa di governare senza idee e la capacità dei giovani di esprimersi, chiaramente. Giovani usati spesso dalla politica, da chi ha le chiavi del potere all’occorrenza, salvo poi abbandonarli quando diventano troppo bravi, troppo propositivi, condannandoli ad un esilio intellettuale e di vita al di fuori della loro terra.
Credo che in democrazia, pur di fronte ad un’analisi mediatica del proprio governo regionale, chi ha argomenti per difendere la propria azione politica e di indirizzo e volesse replicare debba affidarsi agli stessi strumenti democratici per dimostrare il contrario di quanto sostenuto, con i fatti, non con i soliti pietismi o paure di circostanza. Alla ‘ndrangheta poco importa un eventuale effetto promozionale della trasmissione. Anzi, è la debolezza degli argomenti presentati da chi governa che la rafforza. È la paura e la mancata accettazione del rischio che impedisce il cambiamento, il terreno fertile sul quale essa si muove e si consolida.
Il rischio fa parte del cambiamento e ognuno di noi, se accetta un impegno nella società, deve assumersi i rischi che ne derivano, in piena libertà e consapevolezza, senza attribuirli a terzi o sperare che gli altri possano farvi fronte al nostro posto. Ciò vale per magistrati, carabinieri, poliziotti, medici, e anche per chi ha scelto l’impegno politico. La forza di una democrazia, l’impegno o la lotta civile, è riposta nella credibilità di una classe dirigente. Cioè nella vera e profonda capacità di realizzare obiettivi e di assumersi in prima persona la responsabilità del cambiamento.
È questo che la Calabria attendeva da anni ed è questo che dopo Annozero ci attendiamo tutti noi calabresi. La ‘ndrangheta non cerca il partito politico per scelta ideologica. La ‘ndrangheta è policentrica. Essa sopravvive in zone grigie nelle quali politica e devianza si sovrappongono in comuni interessi di potere ed è per questo che non è la ‘ndrangheta il solo problema, o la sola ragione della sconfitta. Dalla trasmissione di Santoro esce sconfitta la Calabria dell’immobilismo politico insieme con la Calabria della ‘ndrangheta, condividendo entrambe lo stesso, comodo risultato.