Azzardare previsioni sul modo di fare politica, su come decidere ed indirizzare una campagna elettorale prossima in una terra come la Calabria diventa quasi una scommessa quotidiana. Una sorta di esercizio funambolico per riuscire ad interpretare, capire, un mondo molto particolare nel quale si sommano princìpi e strumenti politici acquisiti nella nostra esperienza di vita con punti di vista di leadership consunte che mutano geneticamente la stessa natura delle idee, delle posizioni e degli interessi. Aspetti, questi ultimi, ricondotti all’interno di prospettive di mantenimento sine die di una classe politica che autocelebra se stessa nel suo sopravvivere giorno dopo giorno.
La recentissima polemica che riguarda le possibili primarie in Calabria, per decidere sin d’ora i candidati per le prossime consultazioni elettorali regionali e convalidare - soprattutto e in questo modo con una parvenza di democrazia dal basso - quanto già deciso all’interno di partiti sempre più personali lo dimostra senza ombra di dubbio. Nessuno mette in discussione, in linea teorica, il fatto che il meccanismo delle primarie sia uno strumento utile per valutare, lasciando scegliere preliminarmente all’elettore, la rosa dei candidati. Tuttavia questo strumento, che non ci appartiene come cultura politica e non coerente con i sistemi elettorali vigenti nel nostro Paese, presuppone alcuni contrappesi che in Italia, e tanto meno in Calabria, non esistono.
Il primo è la chiarezza del quadro politico complessivo a cui si fa riferimento e nel quale ci si riconosce, l’indipendenza del partito da logiche troppo personali se non di proprietà politica. Il fatto che il partito debba essere, insomma, un contenitore aperto di idee e programmi a cui il cittadino/elettore vi può accedere senza condizionamenti (basti pensare agli Stati Uniti), prendere coscienza e contribuirne alla definizione.
Il secondo, non meno importante del primo, è che tocca ai partiti politici in quanto tali amministrare al proprio interno le modalità di scelta dei candidati disciplinando il sistema delle primarie garantendo pari opportunità di candidatura, ovvero di accesso alla candidatura preliminare e rispetto delle scelte finali. Tutto questo senza vincolare lo Stato o qualsivoglia altro ente pubblico nelle responsabilità interne, dal momento che ciò inficerebbe a priori il significato di equidistanza tra ciò che è istituzione e ciò che è politica di parte. Ciò, perché nessun coinvolgimento di un ente pubblico, Stato o regione che sia, può esserci nel confronto dialettico fra partiti, nel riconoscere a questi la libertà, per statuto, di decidere come scegliere i candidati al proprio interno rispettando la volontà dei propri iscritti/elettori. Inoltre, in nessun modo sarebbe possibile avvalorare politicamente la liceità del finanziamento con soldi pubblici di una consultazione pre-elettorale dal momento che, riguardando i partiti, essa assume un carattere squisitamente privatistico.
Un carattere indiscutibile se ci si ferma a pensare che i partiti politici non solo non sono persone giuridiche, ma rientrano giuridicamente nel novero delle associazioni non riconosciute e, quindi, sottoposte al regime di diritto privato; fatto salvo il riconoscimento, a posteriori e per tutti, del finanziamento pubblico a consultazione elettorale conclusa. Insomma, nel dibattito estivo che preannuncia colpi di scena e altre singolari promozioni elettorali, nessuno metterebbe in discussione il fatto che al cittadino debba essere restituita la sovranità della scelta, e che la Calabria debba appartenere ai calabresi: primarie o non primarie che siano.
Peccato però che la Calabria, politicamente, almeno da quarant’anni a questa parte sembra essere terreno di corsa sempre delle stesse, medesime persone la cui unica novità è di aver cambiato, elezione dopo elezione, solo lo sfondo dei manifesti e di presentarsi nuovamente “al secolo” con qualche segno in più dovuto alla maturità anagrafica. La politica andrebbe restituita all’elettore ma senza continuare ad accollare al cittadino il costo della politica già molto alto nella sua quotidianità, aggiungendo anche le spese di un’iniziativa di partito. Meno che mai ad un’Istituzione come la regione toccherebbe, per giustificare una simile scelta, vigilare e garantire l’ordinato svolgimento delle primarie dal momento che, se riconosciute in quanto tali e in termini generali, dovrebbero allora esser valide le stesse norme di garanzia previste per le consultazioni vere e proprie. Ciò però non basta.
Nel gioco al rialzo e al rimbalzo delle responsabilità ritornano tra le righe delle primarie mancate, volute o non volute, anche gli argomenti di sempre. Elastici come il tempo che si dilata secondo le volontà di ogni politico più o meno vissuto: le accuse per il mancato utilizzo dei fondi Fintecna, Fas o di altri destinati alla Calabria. Cercare capri espiatori sulla mancata erogazione di questi come di altri fondi per difendere una posizione ha lo stesso sapore della mai offerta spiegazione dei fondi spesi male o mai spesi ancorché stanziati - che avvolge, e coinvolge, tutta la classe politica calabrese in un risultato complessivo di spoliazione - è, purtroppo, “patrimonio” indiscusso della nostra storia.
Dovremmo chiederci, infatti, se ciò fosse vero, dov’era, dov’è stata quella classe politica calabrese da molti anni a questa parte; perché non ha vigilato, preteso, speso e, se speso, speso bene. Dovremmo chiederci, insomma, se anche questi 600.000 euro previsti per finanziare le primarie debbano essere tolti alla Calabria e alle sue emergenze così come si è preferito investire alcuni milioni di euro in una pubblicità turistica senza retroterra; una pubblicità che ci restituisce, in televisione un cuore virtuale come se non ne avessimo mai avuto uno vero. O se le centinaia di migliaia di euro spesi per la campagna fotografica di Oliviero Toscani, presentata sui migliori quotidiani nazionali con i volti dei nostri ragazzi, siano stati così efficaci per affermare che non tutti noi siamo dei criminali.
Nella confusione di una politica stantia, credo che al di là delle primarie, che ratificherebbero per converso scelte e nomi già noti – utili solo per dare forza ad una leadership che soffre di debolezza ideale e forse anche di consenso - chi oggi governa in Calabria dovrebbe spiegarci, di fronte alle analisi dell’ultimo rapporto Svimez, perché ancora molti di noi vanno via. Perché, pur ammettendo per comprensibile dialettica di opposizione l’accento posto sul governo, la nostra classe politica, vista la longevità che la contraddistingue nei nomi e nei fatti, dovrebbe essere capace di fare oggi ciò che da decenni avrebbe potuto fare per tutti noi, per i nostri figli dentro e fuori della nostra terra. Una classe politica che della diaspora altrui ne ha fatto uno strumento perfetto di successo, esiliando nel bisogno chi non dovrebbe più tornare ad alterare gli equilibri locali né con i fatti, meno che mai con le idee, soprattutto se queste ultime innovative e e maturate altrove.