Guardando alle ultime frenesie preelettorali, ai commenti e alla del tutto singolare animosità posta verso il destino di una terra dimenticata anche da chi ne è oggi paladino della sua possibile rinascita, sembra che l’interesse verso la Calabria stia man mano aumentando attribuendole quel peso politico che non ha mai avuto. Un peso politico marginale, sino a ieri, se non opportunamente inesistente che ha garantito la sopravvivenza delle logiche di potere che ancora una volta hanno permesso a chi ne ha usufruito di attribuirsi diritti di tribuna attraverso i quali giocare sul terreno popolare e della popolarità indotta. Da qualche giorno si possono osservare nel dibattito politico in corso, tre diversi aspetti della corsa elettorale che si sovrappongono ad uno status quo che, sembra, sia poco preoccupato di subire un possibile stravolgimento dei propri assetti in futuro.
Il primo è la proposta proveniente da una parte del centrodestra di un comitato di salute pubblica. Tra tutte le dichiarazioni rese, scritte, pubblicate e raccontate in questi ultimi giorni, e al di là della sua ala “giacobina”, essa ha almeno il pregio di manifestare un senso di umiltà e di riconoscimento di un fallimento evidente, se mai ce ne fosse bisogno, di un orizzonte molto limitato, e molto personalistico, tipico della classe politica calabrese. Una dichiarazione, apprezzabile nella sua originalità, che nelle intenzioni sembra voglia tendere a provocare quel disarmo di equilibri di potere consolidatisi sia a destra che a sinistra e da cui sembra non si possa prescindere. Equilibri, però, difficili da disarticolare in una terra che non ha espresso nella sua storia particolari slanci solidaristici di fronte alla possibilità di difendere obiettivi comuni, da condividere, di risanamento e crescita per tutti e non solo per alcuni. Posizioni di privilegio politico che non si infrangono di fronte a nessuna proposta di “novità”, che sopravvivono grazie alla persistenza di una coscienza, di una cultura individuale assuefatta al peggio e che, ostaggio del bisogno, della “promessa” altrui, non aderisce a possibilità di cambiamento che mettano in discussione le élites politico-burocratiche locali a cui si fa riferimento per un posto di lavoro, per il futuro dei propri figli. Elites, queste ultime, costruite su una percezione di dominio della politica di partito, che sacrificano l’interesse collettivo per far prevalere la più facile e cooptabile aspettativa del singolo.
Il secondo è che la Calabria, incredibile ma vero, sembra essere diventata il terreno di confronto di una politica nazionale che riscopre il valore locale anche al Sud. Che è consapevole che il risultato delle prossime amministrative non solo porrà un’ipoteca importante sulle dinamiche politiche del Paese ma anche sulla credibilità e sul potere delle segreterie di partito e delle loro espressioni protettorali valutate in termini di consenso conquistato. È per questo che non c’è da meravigliarsi delle istruzioni altrui che giungono in Calabria per la scelta del candidato presidente. Così come, a molti calabresi poco propensi a ritenere la Lega prossima alla propria cultura se non per opportunismo politico del momento, non sorprende, come letto qualche giorno fa su un quotidiano nazionale, neanche il fatto che l’imprimatur del senatur sia diventato fondamentale nell’indicare, sostenere, uno dei possibili candidati alla Presidenza della Regione Calabria tutt’altro che leghista. Ed è per questo che diventa comprensibile anche la corsa di Italia dei Valori che, valutando cum granu saliis aderenze politiche di facciata e concrete prossimità sostanziali ad un modello di politica locale - dal quale, qualunque cosa si voglia o possa dire, non si è distaccata molto nel passato più recente - ridefinisce il suo approccio rimettendo in discussione, con apprezzabile umiltà oltre agli assetti regionali congedando il coordinatore regionale del partito, anche quella “società civile” già nota e priva di un senso di originalità a cui sembrava facesse riferimento il possibile candidato prescelto. Per non parlare poi del ritorno di Cossiga. Un ritorno del Presidente emerito che, in ragione di un non meglio e incomprensibile tardivo amore per la Calabria non si è fatto desiderare nella polemica politica regionale, ancorando una propria valutazione sulla proposta di un comitato di salute pubblica ad un laconico “non serve”.
Il terzo aspetto, di fronte ad una simile logica di confronto senza anima e senza quartiere a quanto pare, è rappresentato dal dilemma della scelta per l’Unione di Centro di decidere con chi e per chi correre presentandosi sino all’ultimo come ago della bilancia di una possibile coalizione ritenuta maggioritaria. Di fronte a tali orizzonti, qualunque possibile scelta di una via di solidarietà e di responsabilità condivisa si presenterebbe viziata da una possibilità di capziosità dovuta dalle alleanze possibili, dai passi indietro di molti politici in auge che un giusto sentimento di umiltà richiederebbe. Vi è un’altra difficoltà non trascurabile, ed è rappresentata dal voler attribuire a candidati di élites il compito di promuovere la Calabria come immagine. Un’opzione che sottende, però, il rischio di trasformarsi solo in un’operazione di maquillage politico-formale, ma non di sostanza. Di promuovere autorevolezza, in altre parole, ma solo attraverso il proprio io e di non riuscire, proprio per questo, ad esprimere un’adeguata, indipendente, azione politica che è ciò che serve alla regione. In questo caso, pur nella bontà della proposta, si perderebbe il senso pratico della credibilità ricercata in alcune delle personalità indicate nel comunicato stampa, dal momento che l’incarico o il ruolo attribuito loro è comunque il risultato di scelte politiche fatte da chi ha governato sino ad oggi.
Così, in conclusione di tale analisi due sembrano le riflessioni di sintesi al momento possibili. La prima è che si dovrebbe evitare il rischio, in un comitato di salute pubblica politicamente trasversale, di trasformarlo in una bella ed elegante riedizione di relazioni da salotto d’altri tempi cui, ormai, da troppo tempo la Calabria ne è vittima. La seconda è superare l’unica certezza che si ha. E, cioè, che mentre molti politici non calabresi parlano di Calabria a Milano come a Roma, i nostri deputati e senatori eletti in Calabria si chiudono in un silenzio senza tempo.