L’apertura dei confronti, dei contatti alla ricerca dei sostenitori, di quelli che potremmo chiamare supporter alle candidature che si delineano man mano che le settimane passano solerti, lascia molti di noi come sempre perplessi. Perplessi perché, ancora una volta, ci troviamo di fronte ad una classe politica insipiente. Una classe politica, in corsa, che si ripropone come novità senza esserlo, anche se ammantatasi, per qualche “nuovo” protagonista, da un’alea di società civile. Una classe politica ora al governo, ora all’opposizione, che non ha il coraggio di guardare oggi, al di fuori delle proprie finestre, per vedere nel disastro ambientale quotidiano il disastro di una terra. Che non si ferma a riflettere, ad esempio, perché le nostre strade, o le ferrovie, siano impercorribili allorché rese tali da una pioggia definita sempre più “normalmente eccezionale” che ha solo la colpa di essere un pò troppo insistente.
Una classe politica, ma anche una buona parte della borghesia d’impresa e pubblica, che, convinta di poter disporre rispetto all’utente comune a necessità di altre soluzioni, non si è mai preoccupata di fare due passi nelle corsie di alcuni ospedali. Siamo perplessi perché anche nei commenti letti in questi giorni, parole come welfare, sviluppo, eccellenza, qualità ecc.. dovrebbero assumere un significato pieno che invece non si accompagna a contenuti veri, realizzabili nelle previsioni dal momento che due aspetti fondamentali si presentano come una costante e rendono meno credibile un’idea di performance ottimali di crescita.
Il primo, i servizi inadeguati, un turismo inesistente, la dimensione di piccola impresa che resta limitata perchè non distingue il commerciante dall’imprenditore. Il secondo, un gettito fiscale che va dimensionato alle capacità di reddito derivanti dall’occupazione reale, produttiva, al netto dei redditi da pubblico impiego. Un aspetto non trascurabile, quest’ultimo, che rende ancora più vaga ogni promozione pseudofederalista “venduta” solo per necessità di parte come la cosiddetta fiscalità di vantaggio a cui qualcuno affida il successo della propria, possibile, futura azione politica senza chiedersi, oggi, su quale ricchezza complessiva, prodotta in regione, riferirsi domani.
Ciò che alimenta la nostra perplessità, però, è che si parli sempre di più di “chi”, …della persona, delle logiche di potere politico personale che si dovranno affermare e non del “cosa” si vorrà fare, del “come” e del “perché”. Nessuno dei potenziali candidati ha detto, scritto, formulato un programma concreto di azioni e di obiettivi da raggiungere per questa terra. Ci si limita solo a confutare l’avversario, aprendo una campagna elettorale dimensionata sul discredito possibile e non sul cosa voler fare. Ed è per questo che, credo, sia necessario porre delle domande a chi vorrà cimentarsi nel governo di questa terra. E, quindi:
1. Quali progetti saranno proposti nell’ambito di una politica vera, concreta, territorialmente sostenibile, di infrastrutturazione complessiva della regione che punti ad una valorizzazione e sinergica interazione tra viabilità stradale, ferroviaria, portuale e aeroportuale che renda tutte le nostre comunità vicine e lontane, mercati e persone, raggiungibili tra di loro? Quale piano per una Calabria protagonista nel Mediterraneo e non semplice ed umiliata periferia dell’Europa? Quale significato dare in Calabria ai termini Alta Velocità, Alta Capacità, o al coinvolgimento nei progetti delle autostrade del mare e di traffico aeroportuale?
2. In che termini investire sui trasporti e sulle opere viarie locali ma non meno importanti per la mobilità di tutti, sulla loro qualità, per evitare lo scandalo di interruzioni continue ad ogni inverno, limitazioni della viabilità, l’isolamento delle nostre comunità rurali che pagano il prezzo da sempre di un abbandono senza ragioni?
3. Quale eccellenza si vorrà realmente, e non virtualmente e ingannevolmente, realizzare nella gestione di un territorio violentato più volte, nell’abusivismo più umile come in quello d’eccellenza della cementificazione selvaggia e irragionevole sulle coste, nelle comunità rurali, nelle periferie delle nostre città. Su quale senso del rispetto della cosa altrui sarà possibile realizzare un’azione politica sincera che eviti lo scempio delle discariche abusive che sono ovunque e dovunque, sotto i ponti e lungo le strade da sempre, al di là dell’epilogo di questi giorni delle navi ‘tossiche’ nella sua drammatica macroscopicità?
4. Quale piano di valorizzazione e crescita di un’offerta turistica si vorrà attuare perché si possa superare il deficit di competitività con altre offerte più vantaggiose e ‘vere’? Come coinvolgere, in questo senso, le comunità locali dal momento che per queste ancora una volta il turismo è una risorsa altrui visto che ogni stagione si propone come un’opportunità di cooptazione di redditi solo per i tour operator che gestiscono i pochi villaggi senza ricadute sul territorio?
5. Su quale sviluppo si potrà guardare partendo da una situazione di svantaggio fiscale dal momento che le risorse disponibili saranno sempre meno sostenute dal governo centrale e dovranno essere calcolate su un gettito misurato sulla ricchezza regionale prodotta? Come rendere utili, produttive, le risorse finanziarie disponibili evitando che siano attratte in progetti estemporanei? Come realizzare, insomma, una razionale distribuzione delle risorse medesime in azioni politiche sinergiche nei settori dei servizi e della produttività attraverso piani complessivi di sviluppo vero…concreto, misurabile e coinvolgente ogni dimensione locale?
6. Quali servizi offrire e in che modo razionalizzarne la gestione e aumentarne l’efficienza per far si che siano qualitativamente adeguati alla richiesta dei cittadini calabresi di ogni reddito, come sanità, istruzione, formazione e inserimento professionale, rendendoli aderenti al territorio - evitando offerte di facciata o politicamente utili per pochi - considerandoli finalmente quali espressioni di un sentimento di civiltà acquisita e di bene comune?
7. Quale piano di investimenti produttivi e di insediamenti possibili si intenderà porre in essere, e come, affinché ne venga valorizzato il territorio trasformandolo sia in uno spazio produttivo che in uno spazio funzionale alla produzione di beni e movimentazione delle merci verso i mercati del Nord e del Sud dell’Europa?
8. Con quale classe dirigente si vorrà realizzare l’azione politica, in che modo e con chi si intenderà sburocratizzare un modello di governance sclerotizzato che gira su se stesso da troppo tempo? Quale dialogo civile e come costruirlo con le comunità, quale azione politica e come potrà essere svolta per definire in termini univoci i piani complessivi di sviluppo della regione mettendo da parte egoismi personali e di partito?
9. In che modo coinvolgere i giovani nella Calabria di domani evitando che siano risorsa per comunità più lungimiranti per i più capaci, o per la criminalità per altri meno fortunati, rendendoli protagonisti a casa loro?
10. Quale vera, ragionevole, certa e voluta azione contro la criminalità si vorrà condurre per far finire un’epoca di rincorsa tra una politica di prossimità alle “famiglie” e un’antimafia di professionisti che ad oggi non ha coniugato risultati complessivi con la crescita delle comunità più inquinate, molto spesso tali perché non riconoscono credibilità a chi si erge paladino di un senso molto particolare della legalità e di una cosa pubblica troppo …privata?
Ecco, sono queste le perplessità, le domande, i dubbi che emergono dal silenzio dei proclami, dai discorsi di una retorica di partito e personale che stanca, da un’assente ruolo dei politici calabresi molto presi dalle attività romane e poco accorti dei problemi di casa propria… di casa nostra. Da un’indolente, nostra, assuefazione al peggio. Un’abitudine, una rassegnazione che restituisce spazio ad una politica stantia, vecchia nei modi e nei metodi, pur nei volti giovani di alcuni, che non vorremmo più… né vedere …né, tantomeno, sentire.
Il primo, i servizi inadeguati, un turismo inesistente, la dimensione di piccola impresa che resta limitata perchè non distingue il commerciante dall’imprenditore. Il secondo, un gettito fiscale che va dimensionato alle capacità di reddito derivanti dall’occupazione reale, produttiva, al netto dei redditi da pubblico impiego. Un aspetto non trascurabile, quest’ultimo, che rende ancora più vaga ogni promozione pseudofederalista “venduta” solo per necessità di parte come la cosiddetta fiscalità di vantaggio a cui qualcuno affida il successo della propria, possibile, futura azione politica senza chiedersi, oggi, su quale ricchezza complessiva, prodotta in regione, riferirsi domani.
Ciò che alimenta la nostra perplessità, però, è che si parli sempre di più di “chi”, …della persona, delle logiche di potere politico personale che si dovranno affermare e non del “cosa” si vorrà fare, del “come” e del “perché”. Nessuno dei potenziali candidati ha detto, scritto, formulato un programma concreto di azioni e di obiettivi da raggiungere per questa terra. Ci si limita solo a confutare l’avversario, aprendo una campagna elettorale dimensionata sul discredito possibile e non sul cosa voler fare. Ed è per questo che, credo, sia necessario porre delle domande a chi vorrà cimentarsi nel governo di questa terra. E, quindi:
1. Quali progetti saranno proposti nell’ambito di una politica vera, concreta, territorialmente sostenibile, di infrastrutturazione complessiva della regione che punti ad una valorizzazione e sinergica interazione tra viabilità stradale, ferroviaria, portuale e aeroportuale che renda tutte le nostre comunità vicine e lontane, mercati e persone, raggiungibili tra di loro? Quale piano per una Calabria protagonista nel Mediterraneo e non semplice ed umiliata periferia dell’Europa? Quale significato dare in Calabria ai termini Alta Velocità, Alta Capacità, o al coinvolgimento nei progetti delle autostrade del mare e di traffico aeroportuale?
2. In che termini investire sui trasporti e sulle opere viarie locali ma non meno importanti per la mobilità di tutti, sulla loro qualità, per evitare lo scandalo di interruzioni continue ad ogni inverno, limitazioni della viabilità, l’isolamento delle nostre comunità rurali che pagano il prezzo da sempre di un abbandono senza ragioni?
3. Quale eccellenza si vorrà realmente, e non virtualmente e ingannevolmente, realizzare nella gestione di un territorio violentato più volte, nell’abusivismo più umile come in quello d’eccellenza della cementificazione selvaggia e irragionevole sulle coste, nelle comunità rurali, nelle periferie delle nostre città. Su quale senso del rispetto della cosa altrui sarà possibile realizzare un’azione politica sincera che eviti lo scempio delle discariche abusive che sono ovunque e dovunque, sotto i ponti e lungo le strade da sempre, al di là dell’epilogo di questi giorni delle navi ‘tossiche’ nella sua drammatica macroscopicità?
4. Quale piano di valorizzazione e crescita di un’offerta turistica si vorrà attuare perché si possa superare il deficit di competitività con altre offerte più vantaggiose e ‘vere’? Come coinvolgere, in questo senso, le comunità locali dal momento che per queste ancora una volta il turismo è una risorsa altrui visto che ogni stagione si propone come un’opportunità di cooptazione di redditi solo per i tour operator che gestiscono i pochi villaggi senza ricadute sul territorio?
5. Su quale sviluppo si potrà guardare partendo da una situazione di svantaggio fiscale dal momento che le risorse disponibili saranno sempre meno sostenute dal governo centrale e dovranno essere calcolate su un gettito misurato sulla ricchezza regionale prodotta? Come rendere utili, produttive, le risorse finanziarie disponibili evitando che siano attratte in progetti estemporanei? Come realizzare, insomma, una razionale distribuzione delle risorse medesime in azioni politiche sinergiche nei settori dei servizi e della produttività attraverso piani complessivi di sviluppo vero…concreto, misurabile e coinvolgente ogni dimensione locale?
6. Quali servizi offrire e in che modo razionalizzarne la gestione e aumentarne l’efficienza per far si che siano qualitativamente adeguati alla richiesta dei cittadini calabresi di ogni reddito, come sanità, istruzione, formazione e inserimento professionale, rendendoli aderenti al territorio - evitando offerte di facciata o politicamente utili per pochi - considerandoli finalmente quali espressioni di un sentimento di civiltà acquisita e di bene comune?
7. Quale piano di investimenti produttivi e di insediamenti possibili si intenderà porre in essere, e come, affinché ne venga valorizzato il territorio trasformandolo sia in uno spazio produttivo che in uno spazio funzionale alla produzione di beni e movimentazione delle merci verso i mercati del Nord e del Sud dell’Europa?
8. Con quale classe dirigente si vorrà realizzare l’azione politica, in che modo e con chi si intenderà sburocratizzare un modello di governance sclerotizzato che gira su se stesso da troppo tempo? Quale dialogo civile e come costruirlo con le comunità, quale azione politica e come potrà essere svolta per definire in termini univoci i piani complessivi di sviluppo della regione mettendo da parte egoismi personali e di partito?
9. In che modo coinvolgere i giovani nella Calabria di domani evitando che siano risorsa per comunità più lungimiranti per i più capaci, o per la criminalità per altri meno fortunati, rendendoli protagonisti a casa loro?
10. Quale vera, ragionevole, certa e voluta azione contro la criminalità si vorrà condurre per far finire un’epoca di rincorsa tra una politica di prossimità alle “famiglie” e un’antimafia di professionisti che ad oggi non ha coniugato risultati complessivi con la crescita delle comunità più inquinate, molto spesso tali perché non riconoscono credibilità a chi si erge paladino di un senso molto particolare della legalità e di una cosa pubblica troppo …privata?
Ecco, sono queste le perplessità, le domande, i dubbi che emergono dal silenzio dei proclami, dai discorsi di una retorica di partito e personale che stanca, da un’assente ruolo dei politici calabresi molto presi dalle attività romane e poco accorti dei problemi di casa propria… di casa nostra. Da un’indolente, nostra, assuefazione al peggio. Un’abitudine, una rassegnazione che restituisce spazio ad una politica stantia, vecchia nei modi e nei metodi, pur nei volti giovani di alcuni, che non vorremmo più… né vedere …né, tantomeno, sentire.