
Quanto accade a Platì ha però del grottesco così come grottesca è la realtà calabrese e della locride dove, in nome di una interpretazione preventiva e preconcetta, ognuno si sente ormai autorizzato secondo propri convincimenti a pre-giudicare il proprio avversario o una realtà comunale in ragione di una competizione politica andata male o perché, così facendo, mediaticamente la prima pagina di un giornale è assicurata. Ciò che diventa un paradosso del gioco democratico in Calabria è ormai l’affermarsi di una formula quasi vetero-veneziana di pre-giudizio da delazione o da informazione veicolata. Chiunque può essere pre-giudicato da chi in realtà, spesso, non ha alcun titolo per farlo o da chi usa strumenti che non hanno alcuna legittimazione giuridica per pre-giudicare persone, risultati elettorali e aspettative.
In una terra nella quale le parentele contano per storia familiare, dove la conoscenza diffusa tra le persone che vivono le piccole comunità è quotidianità, l’associare indiscriminatamente a fenomeni criminali chiunque ci si fosse trovato anche inconsapevolmente e magari solo per rendita di cognome, ha steso negli anni un alone di sofferenza interiore non trascurabile e un senso di sfiducia nella politica e nelle istituzioni che non ha pari. Una sfiducia che si è consumata nell’incapacità ad ottenere risposte alle richieste di occupazione, di migliori servizi, di pari dignità per quei cittadini che -sino a prova contraria- votano per provare a risollevarsi, a darsi un futuro cercando una via per un riscatto sociale. In una terra schiacciata tra la criminalità e uno Stato che non va oltre l’incomprensione fine a se stessa parole come prossimità, contiguità, affinità si sono sostituite alle prove, alla necessità di condurre indagini serie e concludenti, alla necessaria attesa della definitività di un esame processuale.
Su queste parole che esprimono pre-giudizi di valore si sono sciolti comuni, commissariati e sospesi i diritti di rappresentanza senza che si giungesse spesso all’unica certezza data da una sentenza che accertasse e condannasse responsabilità personali anzitutto. Affinità, contiguità, prossimità sono indicatori preliminari che possono avere un senso. Ma proprio nella loro formulazione richiedono un approfondimento perché da soli non sono sufficienti a provocare effetti giuridicamente efficaci. Perché non possono sospendere i diritti civili di elettorato attivo o passivo costituzionalmente riconosciuti. Perché possono essere utile frutto di facile associazione o di valutazione personale di chi li usa.
La verità oggi che nessuno osa dire è che serve restituire dignità e fiducia ad un voto e sostenere chi ha avuto la volontà di candidarsi consapevole che nessuno gli sconterà nulla. Trasformare e rendere funzionale a esigenze mediatiche o politiche la tempesta perfetta scatenatasi sulle elezioni di Platì significa riportare tutto, e ancora una volta, sul tavolo del sospetto e non della civile pacificazione degli animi. Significa non avere interesse che possa cambiare qualcosa poiché si priva pre-giudizialmente di fiducia una comunità dove, anche a Platì, chi vince ha il diritto di amministrare e chi perde il dovere di controllare, nei fatti. Da questa triste celebrazione dell’ego mediatico credo che la lezione da apprendere per chi ama la Calabria, e voglia dare fiducia alla locride, è che si tratterà di avere il coraggio di mettere in atto, una volta per tutte, azioni di sana informazione rieducando il lettore all’analisi dei fatti e non alla comoda criminalizzazione da salotto.
La vera sfida è combattere una sorta di ipnosi mediatica neurodegenerativa che sta distruggendo –ad opera di intelligenti untori mediatici e saccenti sacerdoti della legalità pro domo loro- quelle poche luci che sulle pendici aspromontane provano ad accendersi andando oltre il buio nel quale la criminalità si rifugia. E’ di andare oltre i pre-giudizi e i pre-concetti per non far perire di inedia e di sconforto quello che ancora sopravvive della capacità critica dei calabresi per bene.