"…La democrazia non è solamente la possibilità ed il diritto di esprimere la propria opinione, ma è anche la garanzia che tale opinione venga presa in considerazione da parte del potere, la possibilità per ciascuno di avere una parte reale nelle decisioni…”
Alexander Dubcek

Platì… non è un caso

Platì (RC)Scrivere dopo aver visto come sono andate a finire le ultime consultazioni amministrative non è certo cosa agevole. Anzi, tutt’altro. E non perché ci si dovrebbe cimentare con l’analisi del voto o con le dichiarazioni degli esponenti politici, ma perché il confronto dovrebbe essere condotto sulle giuste aspettative degli elettori dal momento che, nell’esprimere un consenso, questi attribuiscono una speranza alla loro opinione, affidano le loro ansie a chi viene ritenuto degno di fiducia.

Quanto accade a Platì ha però del grottesco così come grottesca è la realtà calabrese e della locride dove, in nome di una interpretazione preventiva e preconcetta, ognuno si sente ormai autorizzato secondo propri convincimenti a pre-giudicare il proprio avversario o una realtà comunale in ragione di una competizione politica andata male o perché, così facendo, mediaticamente la prima pagina di un giornale è assicurata. Ciò che diventa un paradosso del gioco democratico in Calabria è ormai l’affermarsi di una formula quasi vetero-veneziana di pre-giudizio da delazione o da informazione veicolata. Chiunque può essere pre-giudicato da chi in realtà, spesso, non ha alcun titolo per farlo o da chi usa strumenti che non hanno alcuna legittimazione giuridica per pre-giudicare persone, risultati elettorali e aspettative.

In una terra nella quale le parentele contano per storia familiare, dove la conoscenza diffusa tra le persone che vivono le piccole comunità è quotidianità, l’associare indiscriminatamente a fenomeni criminali chiunque ci si fosse trovato anche inconsapevolmente e magari solo per rendita di cognome, ha steso negli anni un alone di sofferenza interiore non trascurabile e un senso di sfiducia nella politica e nelle istituzioni che non ha pari. Una sfiducia che si è consumata nell’incapacità ad ottenere risposte alle richieste di occupazione, di migliori servizi, di pari dignità per quei cittadini che -sino a prova contraria- votano per provare a risollevarsi, a darsi un futuro cercando una via per un riscatto sociale. In una terra schiacciata tra la criminalità e uno Stato che non va oltre l’incomprensione fine a se stessa parole come prossimità, contiguità, affinità si sono sostituite alle prove, alla necessità di condurre indagini serie e concludenti, alla necessaria attesa della definitività di un esame processuale.

Su queste parole che esprimono pre-giudizi di valore si sono sciolti comuni, commissariati e sospesi i diritti di rappresentanza senza che si giungesse spesso all’unica certezza data da una sentenza che accertasse e condannasse responsabilità personali anzitutto. Affinità, contiguità, prossimità sono indicatori preliminari che possono avere un senso. Ma proprio nella loro formulazione richiedono un approfondimento perché da soli non sono sufficienti a provocare effetti giuridicamente efficaci. Perché non possono sospendere i diritti civili di elettorato attivo o passivo costituzionalmente riconosciuti. Perché possono essere utile frutto di facile associazione o di valutazione personale di chi li usa.

La verità oggi che nessuno osa dire è che serve restituire dignità e fiducia ad un voto e sostenere chi ha avuto la volontà di candidarsi consapevole che nessuno gli sconterà nulla. Trasformare e rendere funzionale a esigenze mediatiche o politiche la tempesta perfetta scatenatasi sulle elezioni di Platì significa riportare tutto, e ancora una volta, sul tavolo del sospetto e non della civile pacificazione degli animi. Significa non avere interesse che possa cambiare qualcosa poiché si priva pre-giudizialmente di fiducia una comunità dove, anche a Platì, chi vince ha il diritto di amministrare e chi perde il dovere di controllare, nei fatti. Da questa triste celebrazione dell’ego mediatico credo che la lezione da apprendere per chi ama la Calabria, e voglia dare fiducia alla locride, è che si tratterà di avere il coraggio di mettere in atto, una volta per tutte, azioni di sana informazione rieducando il lettore all’analisi dei fatti e non alla comoda criminalizzazione da salotto.

La vera sfida è combattere una sorta di ipnosi mediatica neurodegenerativa che sta distruggendo –ad opera di intelligenti untori mediatici e saccenti sacerdoti della legalità pro domo loro- quelle poche luci che sulle pendici aspromontane provano ad accendersi andando oltre il buio nel quale la criminalità si rifugia. E’ di andare oltre i pre-giudizi e i pre-concetti per non far perire di inedia e di sconforto quello che ancora sopravvive della capacità critica dei calabresi per bene.

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