L'approvazione del Rapporto della Commissione parlamentare antimafia da parte della sola maggioranza non è solo un'indicazione politica dell'analisi condotta. Rappresenta, anche, la frammentarietà delle posizioni e delle concezioni che si hanno su una realtà criminale particolarmente abile, per affinità elettive e per storica esperienza, ad inserirsi nel gioco delle parti istituzionali per capacità di azione organica nello Stato: sia al centro che in periferia.
La divisione degli approcci, non vorremmo dire dei punti di vista, o degli interessi, a valutare in un senso o nell'altro un fenomeno il cui allarme è socialmente diffuso riflette una parzialità nel condurre le valutazioni degli eventi tale da far si che alle teorizzazioni politiche non seguano delle formulazioni concrete circa le linee d'azione e di condotta da seguire, chiare magari, ed omogenee anche, in tutto il contesto nazionale ed internazionale a dimostrazione dell'esistenza di una strategia comune (…vorremmo dire una volontà comune) nel decidere in che termini e soprattutto contro chi condurre un'azione efficace di contrasto.
Non solo. Tutto questo è altrettanto paradossale se ci si sofferma a pensare che l'Italia si distingue per essere stata l'unica a prevedere una fattispecie ad hoc nel contesto associativo, l'art. 416-bis, seppur mutuata dall'esperienza statunitense, quale strumento di contrasto alle associazioni criminali dotate di un'organizzazione strumentale finalizzata alla consumazione di particolari reati con metodi estremamente caratterizzanti la fattispecie medesima. Un paradosso che oggi svuota, inconsapevolmente, una previsione la cui organicità, e la cui validità, viene ad essere garantita, poichè acquisita così, altrettanto paradossalmente per noi, dalla convenzione delle Nazioni Unite del 2000 che a Palermo formulò la nozione di criminalità transnazionale organizzata (groupe criminel organis?).
Ma anche questo è il risultato dei tempi. Ciononostante, che l'Italia soffra, in un certo qual modo, della sindrome mafiosa non è una novità. Che la sofferenza risieda nella misura in cui il binomio politica e mafia riporta l'efficacia del contrasto in un senso alla necessità delle maxi-operazioni votate a dimostrare l'esistenza di complessi ed articolati sodalizi criminali nemmeno. Che si tenti sempre di dimostrare la trasversalità di un fenomeno che inserendosi nelle dinamiche amministrative convive con apparati istituzionali, quasi in una sorta di coesistenza storicamente consolidatasi soprattutto al Sud, tanto quanto. Ed è indubbio che le indicazioni che emergono non rinnovano il dialogo ed il confronto sul fenomeno in sè: cioè non contengono novità….
Mi ricordo ancora le discussioni al Liceo, in quel di Cittanova, e mi sembra, qualcuno oggi membro di migliore Commissione dovrebbe ricordarsene, che i presupposti eziologici della fattispecie erano già noti. Come era noto che il tour dei sequestri di persona e del controllo degli appalti serviva soprattutto a ricercare i capitali necessari per ridefinire in chiave imprenditoriale l'organizzazione criminale consentendole di accedere a mercati e traffici più evoluti su piazze più interessanti dove la disponibilità di risorse finanziarie, e la forza economica, fa la differenza. (ad esempio nell'importazione e nel traffico di sostanze stupefacenti).
Parlare di evoluzione del fenomeno ‘ndrangheta mi sembra quasi che si voglia attribuire una capacità mistica ad un'organizzazione criminale che, quale organizzazione, vive nella società in cui viviamo noi e, perciò stesso, ne mutua gli strumenti e ne affina le capacità utilizzando e ricercando di capitalizzare i guadagni secondo metodi nuovi e strumenti che non rispondono più alla tradizione della ‘ndrangheta di ieri, espressione dell'esercizio di un potere parallelo di controllo sociale, limitatamente economico, del territorio.
Così, pensando che tutto sia sempre una novità, il vecchio articolo 416-bis soffre di un'apparente incapacità al contrasto non ben argomentata da alcuni operatori del diritto che nell'auspicare nuove norme, di fronte all'impasse dei maxi-processi, e delle maxi-indagini, si rivolgono al politico di turno nella speranza che alle teorizzazioni sulle dinamiche criminali sconosciute, o conosciute da poco, risponda con linee concrete d'azione, con idee capaci di dimostrare di aver compreso le eziologie (..quale cura, infatti, sarà mai possibile, se a fronte dei sintomi rilevati non si indaga sull'origine del male?). Ora che l'art. 416-bis preveda un reato a forma libera ciò è in sè. è nella formulazione obbligata di una norma rivolta a contrastare mutevoli forme associative.
Ma la ricerca continua di definire un sistema allargato di organica appartenenza ad un sodalizio criminale si svuota processualmente di concretezza e ciò significa ricondurre la fattispecie ad una sorta di reato a forma anarchica laddove la dimostrazione di un'organicità a tutti i costi si perde nella complessità delle relazioni presunte, e priva la semplicità applicativa del favoreggiamento, almeno, come minima ma più concreta fattispecie processualmente sostenibile, capace di far rimanere qualcuno in galera. Così, se l'insuccesso dei maxi-processi significa discutere sull'impossibilità di applicare tale norma ciò non mi sembra realistico. Ricondurre tutti sotto il vincolo dell'associazione significa disporre di molti, tanti, ed incontrovertibili elementi di prova utili, concordemente, a dimostrare l'organicità, ovvero la vera, effettiva e funzionale appartenenza all'organizzazione criminale nelle sue articolazioni dal basso vero l'alto.
L'effetto contrario, che svilisce i processi sino a renderli costosi e improduttivi, è dato dalla disapplicazione, perchè poco remunerativa in termini di immagine proprio della norma sul favoreggiamento… ipotesi più spendibile,e maggiormente aderente, soprattutto per i gregari. D'altra parte, volendo colpire le presunte connivenze, neanche la fictio del concorso esterno all'associazione mafiosa ha dato ottimi risultati quasi come se si potesse essere organici a metà, ovvero funzionali part-time ad un'organizzazione criminale fondata sullo stretto vincolo fra gli associati. Pertanto, forse, è l'effetto polverone che andrebbe evitato e, con questo, la polverizzazione conseguente degli elementi di prova che, nel non condannare gli associati tanto meno consentono di condannare i presunti capi: se ci sono e se sono individuabili in maniera certa. Il resto è mera filosofia giuridica o miopia politica.
Approvare a maggioranza un documento che riguarda, o dovrebbe riguardare, l'analisi di un fenomeno criminale particolarmente sensibile significa affermare una volontà parziale di contrasto. Nessun commento o valutazione a questa osservazione può essere accettato: la realtà oggettiva parla da sola. Dividersi su un Rapporto così complesso ed importante per la vita del Paese dimostra del come l'interpretazione di un fenomeno criminale sia diversa, quasi come se si percepisse una diversa pericolosità. Mio padre, da buon appuntato dei carabinieri, nella sua cultura creatasi sulle strade dell'Aspromonte, mi diceva sempre che la ‘ndrangheta, quella vera, è un fenomeno sociale prima ancora che politico e politico prima ancora che economico. Un fenomeno che affonda radici nella storia più intima delle nostre terre.
Per questo l'unico modo per poterla combattere è dimostrare di avere una volontà comune nel farlo. Una volontà concreta. Io aggiungo, ancorchè privo della sensibilità del vecchio carabiniere, scortato e tutelato da se stesso, che le norme sono frutto dei tempi, ma la volontà è nell'animo di chi ha il dovere di perseguire in silenzio e con i fatti concreti colui che pone a rischio la pacifica convivenza e l'equilibrio sociale. E così, solo la verità processuale è l'unica che regge il confronto. Un confronto apparentemente dialettico, fra chi cerca una verità politica, parziale, e chi nel chiedere nuove norme si dimentica l'uso del quanto disponibile ed utile ad oggi non ricordandosi che la certezza della pena risiede nell'incontrovertibilità degli elementi acquisiti e nella capacità di usare l'esistente ottimizzandone i risultati investigativi per soddisfare le aspettative della comunità.
Aspettative che si soddisfano attraverso le condanne ottenute quale unica prova delle abilità investigative messe in campo. Una nuova norma, così come la militarizzazione progressiva del territorio, a volte ha il sapore di una sconfitta o di un'incapacità di fondo nell'usare uno strumento o nell'impiegare efficacemente le forze. Altre volte rappresenta un alibi efficace. Ma ad un attento osservatore l'alea dell'insuccesso resta forte. è di questo che ancora oggi si parla.