L’estate rappresenta una stagione particolarmente difficile per poter impegnare se stessi nelle prove più ardue di resistenza mentale, oltre che fisica. Direi che si tratta di una stagione inclemente per definire scelte politiche di principio che potranno dimostrarsi adeguate o meno soltanto al termine della settimana di ferragosto, fra un appuntamento mondano e l’altro, fra convegni od incontri estivi. Le dimissioni del Ministro dell’Interno rappresentano, in un certo senso, un episodio, per quanto gravido di perplessità, di dubbi. Ma non sono, e non potevano esserlo, dotate di ineluttabilità. Il gioco fisiologico delle parti in Italia attribuisce alle dichiarazioni rese un peso specifico al quale la dialettica politica non può fare sconti se non altro per tradizione e cultura di un Paese che non crea la sua immagine, e la sua classe politica, su un pragmatismo di gestione degli eventi ma sull’emozione determinata da un singolo evento, al di là delle cause, al di là dei risultati ottenibili.
L’Italia è un Paese in continua emergenza. Un’aleatorietà di un faceto che si respira ogni giorno su una ridda di polemiche variopinte che da destra a sinistra creano un arcobaleno di dichiarazioni, di posizioni, di azioni e di distruzioni che non rappresentano null’altro che l’estrema indecisione posta alla base del futuro e della credibilità che lo Stato, il nostro Stato, vuole darsi verso di sé, verso le giovani generazioni, verso la comunità internazionale.
Il problema non è la concessione o meno di una scorta, in sé approssimativo strumento per assicurare un modello virtuale di sicurezza fisica venuto meno a Capaci. Non lo è al Sud, territorio in cui - provvidi di scorte e tutele concesse a chiunque si senta minacciato nello svolgere il proprio ruolo - ogni giorno osserviamo sfrecciare macchine blu con lampeggianti in funzione. Ma non lo fu né a Dallas per Kennedy, né assicurò l’incolumità di Sadat e così via indietro nella storia. Il rischio, la minaccia, la pericolosità di un ruolo rappresentano i dati certi nell’accettare un impegno verso di sé e verso gli altri al quale ognuno deve altrettanto rispetto e verso il quale la migliore sicurezza è data dalla prevenzione e dal contrasto puntuale al fenomeno criminale nelle sue particolari e peculiari manifestazioni, mafioso o terroristico che sia.
Scorte e tutele, in molti casi, spesso part-time, ovvero solo per gli orari d’ufficio, o per gli impegni istituzionali, e non a tutte le ore, rappresentano un modo per depotenziare il significato stesso della scorta attribuendole poco valore e determinando una minor attenzione operativa del personale preposto, convinto dell’inutilità della misura e dell’inadeguatezza dei mezzi e delle modalità di condotta. A chi non è capitato di essere minacciato una volta nella vita? A chi non è capitato di sentirsi in pericolo, anche per minacce avute dal vicino di casa o nel parcheggiare la propria autovettura? Un nemico subdolo e determinato non si arrende di fronte ad un ostacolo. Dimensiona la sua azione all’obiettivo e ne valuta gli sforzi in ragione della possibilità concreta di raggiungere il risultato, nei tempi e nei luoghi ritenuti più opportuni.
Il crollo delle Torri Gemelle ha dimostrato quanto nessuno sia completamente al sicuro da una minaccia condotta da una mano invisibile. Ma è nel rendere visibile la mano stessa che si rinviene la capacità di assicurare la sicurezza a chi opera con difficoltà. Si tutela, così, la vita dell’uno, il protetto, e la vita altrettanto importante per la comunità di ogni singolo poliziotto o carabiniere, rendendo utile il lavoro condotto soprattutto perché valorizzato dal rischio corso e dal risultato ottenuto. Eccedere in scorte, tutele e altre trovate significa sottovalutare molto spesso il pericolo reale senza dotarsi, all’occorrenza, della giusta risposta. La mancata scorta, quella vera, necessaria, crea così la vittima paradossale delle troppe scorte o tutele attribuite molto spesso alla carica e posta al servizio del protagonismo più o meno dichiarato dell’uno o dell’altro funzionario, politico, magistrato.