"…La democrazia non è solamente la possibilità ed il diritto di esprimere la propria opinione, ma è anche la garanzia che tale opinione venga presa in considerazione da parte del potere, la possibilità per ciascuno di avere una parte reale nelle decisioni…”
Alexander Dubcek

Legalità: un valore culturale e non solo politico

Napoli, la camorra, la violenza quale regola di affermazione di un criterio di imperio al di fuori dello Stato e delle sue leggi. La concreta espressione di una cultura criminale che si alimenta nella mancanza di risposte e di esempi che diano alla legalità un valore vincente e non riducendola ad un comodo velo per far affermare altre illegalità, più raffinate e sapienti nelle mani di chi gestisce il potere cosiddetto legale.

La recrudescenza della violenza criminale a Napoli risveglia in ognuno di noi la preoccupazione che i valori della convivenza civile e del rispetto delle regole siano ancora una conquista da ottenere. Un risultato da conseguire. Ebbene, di fronte agli ultimi avvenimenti, guardando a quanto succede anche in altre realtà del Paese e in alcuni luoghi non molto lontani dalla nostra nazione, ciò che ci sconforta maggiormente è la consapevolezza di quanto raggiungere il rispetto delle regole e della vita umana sia sempre una conquista di civiltà. Di fronte ad una simile violenza, che non risparmia di coinvolgere anche chi non ne è strumento, sembra che l’affermazione del senso di legalità e del pieno rispetto della vita siano dei valori discutibili, una sorta di conquista parziale di civiltà perché non consolidatasi, a quanto pare, e quindi non appartenente alla cultura di un popolo.

Valori troppo spesso dati per acquisiti nelle democrazie come la nostra. Dovendo riflettere sul perché lo Stato sia così estraneo non ci si può arrendere soltanto all’evidenza della violenza come manifestazione diretta di un disprezzo verso le Istituzioni. Se si cercasse di ricondurre all’interno di un unico quadro interpretativo le vicende partenopee, una lettura potrebbe essere rappresentata dal considerare la violenza quale risultato di una sorta di dissenso verso una proposta di ordine sociale non condivisa, se non ritenuta addirittura inutile. O, ancora, l’allontanamento dal comune senso del lecito si potrebbe interpretare come una reazione ad un sentimento della legalità non compreso perché incapace di dare risposte tangibili alla disperazione, perché ritenuto un valore non competitivo nel risolvere il dramma occupazionale o di accesso ai servizi, abbandonando chi non ne ha la possibilità di affrancarsene alle lusinghe della criminalità.

La violenza criminale nasce laddove vi è, soprattutto, un deficit da consenso, un’erosione della capacità dello Stato di affermare se stesso con in fatti. Dall’incapacità di ancorare i propri cittadini a delle certezze, di contrapporre alla volontà di non rispettare le regole e la vita altrui una certezza della pena fondata sulla credibilità delle Istituzioni. Così, l’assenza di consenso, sia all’interno di una comunità politica che all’esterno, rappresenta un momento di gravissima crisi e di pericolosa fragilità del sistema ponendo in discussione il livello di istituzionalizzazione del potere. Per questo, al di là dei commenti e delle probabili, ma non esaustive, soluzioni ciò che colpisce è quanto la competitività criminale sia così forte in determinate aree, come in Campania, sottraendo parti considerevoli del consenso e proponendosi come veicolo di soluzioni per problemi sociali immediati, urgenti, per le classi più deboli ai quali lo Stato non da risposte.

In questa incapacità di raggiungere una cultura consolidata della legalità sopravvive, nella dimensione del crimine organizzato, una sorta di attività di mediazione. Un’area di interposizione tra lo Stato e la comunità all’interno della quale la criminalità organizzata cerca di accreditarsi parallelamente alle istituzioni proprio in virtù di un consenso interno molto forte. Tutto questo la rende dotata di una struttura di potere organizzata e articolata sul territorio, sempre più trasversale negli animi e negli effetti, meno dotata di scrupoli su valori che non sono condivisi se non coincidenti o funzionali agli obiettivi di potere che il crimine di per sé persegue. Non si tratta, quindi, di risolvere una diffusione di violenza che nasce nell’intimo di una comunità complessa e difficile come quella napoletana con la militarizzazione del territorio.

Il successo è affidato alla capacità di realizzare una conquista di civiltà affermando il senso di legalità nelle politiche reali, nel rispetto dell’altro, nella condivisione delle responsabilità di ogni cittadino verso il Paese. Il sentirsi partecipi di una comunità più grande e non ostaggio di un sentimento popolare che ha reso vittime dell’illecito dilagante cittadini che del senso dello Stato, per ragioni storiche che si trascinano negli anni, non hanno trovato terreno ed esempi fertili sul quale muoversi ed ispirarsi. Il rischio di non riuscire a dare dell’antagonismo criminale una dimensione diversa rispetto alla tradizione della mediazione alternativa è di far assumere al fenomeno criminale quasi una sua ineluttabilità, in una città dov’è assente una partecipazione sincera al futuro di ognuno e che resta un’utopia per pochi, arrancando su ostacoli di ordine economico e sociale sui quali si arrendono migliaia di cittadini.

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