Un ricordo come un anniversario di una scomparsa, di un lutto, definisce uno stato d'animo particolare che coinvolge chi ne ha condiviso i sentimenti, le angosce e il dolore. Ricordarsi di Paolo Borsellino non è un ricordo complicato, non può creare imbarazzi di alcun tipo, non può suscitare distacchi dal momento che nella semplicità della loro opera tutti ne siamo stati destinatari e coinvolti come comunità. Non ci sono commenti, su una strage che ha minato un senso comune di legalità e di giustizia che anima ogni cittadino onesto, che non siano semplici, spontanei e ragionati con il cuore di chi ha visto scomparire un ennesimo baluardo della giustizia. Non ci sono commenti complicati per chi è stato testimone del dissolversi in una "notte" della repubblica -e della democrazia- del valore trasfigurato nei due magistrati della lealtà verso la legge, verso un ordine civile di equa e pacifica convivenza.
La lezione che ci raggiunge ancora oggi nel nostro quotidiano di democrazia imperfetta è che la violenza criminale nasce laddove vi è un deficit da consenso, un'erosione progressiva della capacità dello Stato di affermare se stesso con i fatti. Dall'incapacità di ancorare i propri cittadini a dei valori fermi, indiscutibili. Dall'incapacità di contrapporre alla volontà di non rispettare le regole e la vita altrui una certezza della pena fondata sulla credibilità delle Istituzioni. Nella prossimità della commistione tra politica e criminalità, nella gestione di un potere che si misura in affari e favori, nel non riuscire a dare dell'antagonismo criminale una dimensione diversa rispetto alla tradizione della mediazione alternativa si è fatto assumere al fenomeno criminale quasi una sua ineluttabilità.
In un Paese dove rimane confuso il modo sul come garantire una piena partecipazione democratica al futuro di ognuno -restando il gioco politico un'utopia per pochi, arrancando su ostacoli di ordine economico e sociale sui quali si arrendono migliaia di cittadini- la vera lezione di Borsellino è che non è solo la mafia il pericolo come entità ma le conseguenze, gli effetti di un sistema così pervasivo e invasivo che mina la tenuta di un modello di democrazia. Se le istituzioni, e la politica, dovessero lasciare all'organizzazione criminale campo libero nell'essere una forza catalizzatrice di aspettative di voto o di risultato -quest’ultimo raggiunto attraverso azioni condotte parallelamente all'azione politica- lo stesso sentimento di legalità rischia di contrarsi su se stesso delegittimando una classe dirigente e con questa il concetto stesso di ordine giuridico di cui la politica ha il dovere di esserne il primo garante.
Ed è su questo fallimento, vissuto e pagato, che Borsellino cosi come Falcone hanno cercato di difendere il cittadino dall'amarezza di credere che vivere con onestà e di legalità fosse inutile. La lotta alla mafia non è solo lotta per affermare la legalità. E' la lotta contro un sistema di captazione delle volontà, contro un sistema fraudolento che si manifesta nel guadagnarsi la benevolenza altrui a scopo di profitto. E' lotta contro la capacità di distruggere il consenso della comunità espresso su regole riconosciute come necessarie per la convivenza. Ma non solo questo. Paolo Borsellino ci ha lasciato una grande eredità di pensiero civile. Un'eredità di sentimenti e di intima persuasione per la quale sicurezza, legalità, giustizia non sono, non devono e non dovranno essere valori di una sola forza politica o monopolio di categorie che gestiscono le istituzioni statali perché ne hanno conquistato il potere.
Sono valori che preesistono alla formazione della società civile, all'ordine costituzionale, alla pacifica e giusta convivenza dei cittadini. Legalità e giustizia sono valori così chiaramente bipartisan che non dovrebbero essere messi in discussione soprattutto da chi ha i mezzi, le possibilità e garantiti i diritti per potersi difendere, anche in giudizio, usufruendo delle medesime possibilità riconosciute ai cittadini. Valori di alto profilo sociale la cui difesa non può riconoscere, ed ammettere quindi, la possibilità che esistano aree di impunità o, ancor peggio, spazi di immunità garantita. Impunità e immunità diventano, altrimenti, il controsviluppo della legalità visto nel tentativo di "legalizzare" un illecito di pensiero. Una disonestà intellettuale che, nel gioco di potere, diventa la forza indiretta su cui la stessa criminalità organizzata può contare lusingando parti del potere asservite ad un fine di dominio.
In un Paese dove rimane confuso il modo sul come garantire una piena partecipazione democratica al futuro di ognuno -restando il gioco politico un'utopia per pochi, arrancando su ostacoli di ordine economico e sociale sui quali si arrendono migliaia di cittadini- la vera lezione di Borsellino è che non è solo la mafia il pericolo come entità ma le conseguenze, gli effetti di un sistema così pervasivo e invasivo che mina la tenuta di un modello di democrazia. Se le istituzioni, e la politica, dovessero lasciare all'organizzazione criminale campo libero nell'essere una forza catalizzatrice di aspettative di voto o di risultato -quest’ultimo raggiunto attraverso azioni condotte parallelamente all'azione politica- lo stesso sentimento di legalità rischia di contrarsi su se stesso delegittimando una classe dirigente e con questa il concetto stesso di ordine giuridico di cui la politica ha il dovere di esserne il primo garante.
Ed è su questo fallimento, vissuto e pagato, che Borsellino cosi come Falcone hanno cercato di difendere il cittadino dall'amarezza di credere che vivere con onestà e di legalità fosse inutile. La lotta alla mafia non è solo lotta per affermare la legalità. E' la lotta contro un sistema di captazione delle volontà, contro un sistema fraudolento che si manifesta nel guadagnarsi la benevolenza altrui a scopo di profitto. E' lotta contro la capacità di distruggere il consenso della comunità espresso su regole riconosciute come necessarie per la convivenza. Ma non solo questo. Paolo Borsellino ci ha lasciato una grande eredità di pensiero civile. Un'eredità di sentimenti e di intima persuasione per la quale sicurezza, legalità, giustizia non sono, non devono e non dovranno essere valori di una sola forza politica o monopolio di categorie che gestiscono le istituzioni statali perché ne hanno conquistato il potere.
Sono valori che preesistono alla formazione della società civile, all'ordine costituzionale, alla pacifica e giusta convivenza dei cittadini. Legalità e giustizia sono valori così chiaramente bipartisan che non dovrebbero essere messi in discussione soprattutto da chi ha i mezzi, le possibilità e garantiti i diritti per potersi difendere, anche in giudizio, usufruendo delle medesime possibilità riconosciute ai cittadini. Valori di alto profilo sociale la cui difesa non può riconoscere, ed ammettere quindi, la possibilità che esistano aree di impunità o, ancor peggio, spazi di immunità garantita. Impunità e immunità diventano, altrimenti, il controsviluppo della legalità visto nel tentativo di "legalizzare" un illecito di pensiero. Una disonestà intellettuale che, nel gioco di potere, diventa la forza indiretta su cui la stessa criminalità organizzata può contare lusingando parti del potere asservite ad un fine di dominio.