Quando l’abito non sempre fa il monaco.
Una stagione politica è caratterizzata da sempre dalla sua capacità di riorganizzare i termini ed i programmi di governo secondo quelle che sono le promesse elettorali e, anche, le reali aspettative del Paese e dei suoi cittadini. Un Paese, l’Italia, stretto dalla morsa dei rifiuti di Napoli, che denota un’incapacità evidente di governare le normali esigenze di una comunità, l’impossibilità di pianificare politiche di crescita coerenti con le diverse possibilità produttive e le ragioni di un federalismo fiscale che si muove su una dimensione unilaterale di restituzione al Nord delle proprie contribuzioni.
Un federalismo fiscale che, seppur giustificabile nei termini di un giusto riconoscimento a chi opera e realizza efficienze nei servizi e nelle attività economiche, non può essere uno strumento di riforma del sistema produttivo se non agganciato ad una politica di sviluppo che comprenda, oltre alla redistribuzione del gettito fiscale, anche il riassetto della produzione e dei mercati nazionali. Un riassetto necessario per poter essere competitivi e dare ad ogni realtà locale, a Nord e a Sud, la giusta collocazione alle proprie capacità produttive.
Fare sistema, insomma, non si limita alla sola eccellenza di una regione, ma si esprime nel saper trasformare in protagonista ogni identità locale, economica e culturale, inserendola in un progetto complessivo di crescita. In questa dimensione non esisterebbe né una questione settentrionale né, tanto meno, una questione meridionale dal momento che entrambe sarebbero non più aspetti l’una dell’altra, bensì lo sviluppo coerente di un comune progetto di crescita ma rivolto a valorizzarne le diversità. Se guardiamo alle infrastrutture, ad esempio, oggi, nonostante riforme mancate e provvedimenti estemporanei frutto di opportunismi politici per motivi elettorali, la stessa politica sembra dividere il Paese e dimostra, nella sua particolare frammentazione dei programmi, ancora una volta l’esistenza di un divario di accesso tra Nord e Sud.
Ora, se è vero che le infrastrutture non risolvono da sole i problemi dello sviluppo di un Paese, di un territorio, tuttavia la loro assenza è un incontrovertibile segnale di sottosviluppo, di isolamento dai mercati. Oggi, nonostante proclami e progetti che ogni ente locale e lo stesso Stato nazionale si prefiggono, si ripropone ancora una volta il limite delle politiche infrastrutturali: e, cioè, l’essere promosse al di fuori di un programma complessivo, coordinato, di realizzazione di architetture di trasporto capaci di interagire tra loro. Ora, è vero che l’alta velocità a Nord risponde ad una necessità di adeguamento del territorio ad obiettivi di inserimento in un contesto di proiezione ad Est dell’Unione europea. Ed è altrettanto vero che il Nord del Paese mantiene, in un certo senso, un ruolo di vantaggio in termini di potenziale industriale esprimibile. Tuttavia esso soffre di una distanza dai mercati mediterranei che è abbastanza significativa e che non sarà eludibile nei prossimi anni.
Al Sud sopravvive, però, un’incapacità di consolidare politiche di sviluppo attraverso strutture di servizio e di trasporto che siano idonee a superare un isolamento che ha un costo e, in particolare, di assorbire un capitale sociale che non è più fisso in termini di occupazione, ma che si deve distribuire in varie opportunità di lavoro. Detto questo, è evidente che se le politiche di infrastrutturazione tra Nord e Sud possono rappresentare un motivo di crescita ci si deve rendere conto, però, che esse sono solo un aspetto di un riassetto funzionale dello spazio economico.
Questo, dal momento che ogni programma di sviluppo deve necessariamente prevedere la realizzazione di modelli multilivello di offerta di servizi, al pubblico e alle imprese, di cui il trasporto è una parte importante ma non l’unica. E cioè, ogni politica di infrastrutturazione del territorio non può prescindere dal realizzare servizi che soddisfino i bisogni di una comunità. Servizi, questi ultimi, considerati non come opportunità di assorbimento di dipendenti, ma quali espressioni di una qualità del territorio rappresentata da scuole, università, ospedali e centri di ricerca collaterali alla produzione; frutto, cioè, di una politica che sia capace di mediare intervento pubblico nell’investimento in servizi e imprenditoria privata. Di fronte a ciò si capisce perché i programmi di realizzazione di grandi opere non solo rischiano di dilatare i tempidi consegna o di definizione, ma assorbono nell’immediato risorse necessarie a riorganizzare il territorio affinché una grande opera possa essere assorbita da uno spazio adeguatamente organizzato.
Uno spazio tale da inserire la grande opera in un modello complessivo di organizzazione del territorio che comprenda, ad esempio, tutte le dimensioni, ferroviaria, viaria, marittima e aeroportuale. Il “taglia e cuci” senza un disegno del vestito che si intende confezionare, nella spesa pubblica e nel finanziamento privato, rischiano di sovrapporre approcci diversi il cui prezzo della diversità di analisi si paga nel portare avanti progetti senza coordinamento con il rischio di incoerenza tra le opere realizzate e il territorio. In questa prospettiva si inserisce anche il progetto del Ponte dello Stretto.
Un’opera importante, ma la cui realizzazione possibile disperde risorse sottraendo attenzione e disponibilità finanziarie per adeguare servizi e porre rimedio a ritardi in settori fondamentali della vita quotidiana, dalle scuole alla sanità, alle linee ferroviarie e alle reti viarie sempre più inadeguate. Se l’interesse del Nord del Paese è avvicinarsi ai mercati del Sud dell’Europa, per il Sud si tratta di disporre di servizi di qualità europea per poter a sua volta avvicinarsi ai mercati del Nord e offrire una qualità della vita in linea con gli standard europei. Ma per realizzare un ponte sono necessarie strade e ferrovie per poterci arrivare e per essere competitivi e abbattere i costi i tempi di percorrenza, delle merci come delle persone, rappresentano un motivo per rendere inutile anche una “grande” opera al Sud come al Nord.