Siamo arrivati al rush finale. La stagione turistica, nella sua ormai cronica brevità, volge per lo più al termine. Macchine cariche, aerei e treni strapieni e più che prenotati. Una corsa al rientro che accomuna tutti i turisti, soprattutto “nostri” turisti, che non disegnano l’articolato sostituirsi nelle settimane e nei mesi estivi che, invece, caratterizza la continuità della vocazione turistica altrove sino a tarda stagione. Guardando un’edizione regionale di un telegiornale abbiamo visto il giusto e lodevole risalto dato ad un comune cosentino per le spiagge, per come si è cercato di coniugare produttività agricola con il cedro quale richiamo. La verità che si desume, però, da certi servizi è che si tenta di nascondere dietro alcune eccellenze il fatto che non si riesca ad offrire ancora oggi un quotidiano turisticamente sostenibile e promuovibile.
Un quotidiano che trasformi ogni comune calabrese in una piccola, ma fondamentale, parte di un mosaico vacanziero che valorizza le sue tipicità. La verità è che, al di là del sentimento emulativo che si intende sollevare, non si tratta di non favorire giuste manifestazioni di riconoscimento ad alcuni comuni, ma non ci si deve dimenticare di altri comuni e territori che offrono spiagge, ambienti, e possibilità di gustare i sapori della nostra terra altrettanto apprezzabili come sulla costa jonica, da Soverato a Siderno, alla scogliera di Africo nella sua solitudine naturalistica sino allo Stretto.
In questi mesi estivi è stato possibile verificare, in alcune circostanze, l’esistenza di una sorta di nuovo corso della sensibilità turistica, quasi una nuova kultur che si muove timidamente nelle anime degli amministratori. Nonostante ciò, credo che lo stato dell’arte non sia sufficiente, al di là delle eccellenze estemporanee, per mutare e dare la giusta dimensione del nostro territorio. Ascoltando le idee, considerandone alcune penso realmente che in fondo ogni sindaco vada un po’ dove vuole.
Manca, ancora una volta, una visione di medio lungo termine dal momento che vince, come sempre, quella di breve periodo. Ancora oggi lo sviluppo dell’offerta turistica per creare ricchezza, e dare valore aggiunto ad un programma di crescita, non è ricondotta all’interno di un’azione politica condivisa tra i comuni, unitariamente considerata dal livello regionale, strategicamente definita nell’ambito dell’ente locale che dovrebbe apprestarsi a governare in un’ottica para-federalista. Un esempio. Nella costa jonica vi è una certa idea di realizzare porti turistici foranei a livello comunale e, per certi comuni, con distanze molto brevi l’uno dall’altro.
Opere importanti, perché no, nella loro singolarità, che nascono però non da un progetto complessivo di organizzazione del territorio, ma dalla volontà, credo, di realizzare un’opera che stigmatizzi le capacità del singolo amministratore, al di là delle valutazioni future sulla compatibilità e convenienza di realizzarla in un territorio anziché in un altro. Oggi, in un territorio che soffre di scarsa ricettività, di limitata riorganizzazione degli spazi c’è chi pensa, insomma, che un porto possa da solo dare occupazione o valorizzare quel solo comune laddove, magari, attraversando un sottopasso ferroviario per raggiungere il mare si osservano rifiuti abbandonati ai lati dello sterrato e non vi sono strutture alloggiative in quel comune per il turista.
Fermandoci all’idea del porto, perché sintomatica di una cultura che prescinde da ogni valutazione complessiva nella decisione di realizzazione di un’opera di un certo valore, bisognerebbe ricordare a qualche amministratore interessato, che i porti foranei si possono realizzare soltanto a condizione che vi sia una naturale capacità dell’ambiente marino di modificare il corso delle maree senza procurare fenomeni erosivi con la riduzione delle spiagge a Sud del porto. Forse dovremmo guardare alle nostre fiumare, secche quasi tutto l’anno, per decidere che un porto-canale nel riprendere un’antica saggezza ingegneristica romana è una possibile soluzione, perché è il turismo da diporto che ci interessa e non la grande nave. Ma i porti-canale forse non danno quel senso di grandezza che un’opera di maggior visibilità può suscitare.
Ora, tutto questo, ricondotto nell’ambito di un’ottica complessiva, dà un quadro abbastanza chiaro del come non esista un’idea concertata e, in una politica di crescita, tale assenza non è trascurabile. Ogni modello di valorizzazione del territorio da un punto di vista delle infrastrutture, purtroppo e se si vuole “crescere” insieme, non può prescindere da una pianificazione regionale complessiva per obiettivi. Eppure ciò non sembra avvenire. Se i sindaci per primi si mettessero d’accordo, e se tutto ciò rientrasse in una capacità regionale di pianificazione, direzione e realizzazione sarebbe possibile avere i porti adeguati al territorio come gli ospedali efficienti, villaggi turistici e strutture alberghiere di qualità, strade di accesso al mare pulite e non polverose, arredi urbani e aree verdi che dimostrano il senso civico nel rispetto della cosa pubblica, del valore dell’ospitalità, dell’ordine a casa nostra.
Ma per fare questo, come altro, serve la volontà di ogni amministratore di condividerle con gli altri programmi e progetti; significa uscire dal limite del comune e confrontarsi, retrocedere se non vi è convenienza o se capacità altrui realizzano migliori efficienze trovando altri motivi per realizzare le proprie qualità che certamente non mancano. Per dare coerenza, in altre parole, ad ogni iniziativa ambientale dal momento che il turismo, quello vero, non cerca confini tra un comune e l’altro, ma tipicità e servizi adeguati per l’ospite e sostenibili per le comunità e il territorio