Una questione di pari dignità per un’immagine di crescita
Realizzare nuove opere è sempre sinonimo di crescita e di adeguamento dei luoghi e dei servizi ad esigenze che richiedono attenzione e a domande di maggior qualità della vita. Una qualità a cui ogni servizio destinato a migliorarne la condizione dovrebbe tendere. Ora, se dovessimo guardare al Sud e, in particolar modo alla Calabria e, in ulteriore particolare attenzione alla locride ci si accorge che ogni qualvolta si parla di fare, di innovare, di realizzare opere sicuramente importanti non si va oltre caserme e tribunali o istituti di prevenzione.
Non che tali servizi non siano da adeguare, tutt’altro. Ma ciò che salta agli occhi di un osservatore attento è che, di fronte al deserto delle opere pubbliche che riguardino sanità, scuole, trasporti, investimenti in attività produttive e in logistica avanzata -per favorire l’attrazione di merci e la loro movimentazione su mercati mediterranei- ci si preoccupa solo di un aspetto del servizio pubblico e non dell’insieme. Un limite di prospettiva, ed un’immagine di particolare preoccupazione, dal momento che si supera quel normale significato che fa si che per pubblico servizio si intenda un aggregato di plurime offerte sinergicamente coordinate e raccordate per offrire al cittadino tutto ciò di cui ha necessità per condurre, secondo standard di crescita consolidati e condivisi, la propria esistenza.
Certo, il commento che di fronte a simile realtà si esprime nella sua evidenza è che in Calabria, come al Sud - se l’attenzione è riposta solo su determinati aspetti della qualità di strutture piuttosto che di altre - certamente non vi possono essere modi diversi per scansare il dubbio che il solo servizio che funziona, e l’economia che ne deriva, sia quello giudiziario: tribunali, istituti di prevenzione e pena, caserme ecc... Sanità, istruzione, trasporti sono differibili. D’altra parte, un Sud ed una Calabria siffatta, che parla solo di indagini e criminalità non ha grandi prospettive di poter dislocare al meglio risorse che vengono assorbite su servizi sicuramente importanti come quelli giudiziari.
Tuttavia, restano servizi, questi, che al di fuori di un sistema di reciproca legalità e di reciproca fiducia su cui si costruisce tutta la comunità rischiano, nonostante le vesti esteriori, di rimanere sterili se non si inseriscono in un quadro di crescita civile partecipata dove fare impresa, curarsi, andare a scuola, muoversi e muovere, diventano aspetti strutturali e …infrastrutturali che devono esprimere pari dignità per il solo fatto che sono, questi unitamente ai primi, certamente fattori decisivi per dimostrare il vero, reale, livello di crescita di una società.
In fondo, se per un accreditato vocabolario italiano una struttura è da ritenersi come il complesso degli elementi costitutivi di un organismo, di una costruzione o di un sistema considerati nei loro rapporti, nella loro reciproca interdipendenza, ci si interroga su quale sia il nesso di “interdipendenza sociale” che si crea tra lo strutturare fine a se stesso, ancorché ispirato a giusti motivi di maggior funzionalità e ospitalità per alcuni, o il lasciar destrutturare per comoda inerzia ciò che andrebbe a sua volta “strutturato”, o anche solo ri-strutturato per priorità di vita collettiva per altri. Insomma, per essere eleganti, sembra quasi di poter riproporre una riflessione da Levi-Strauss in un contesto antropologico singolare che divide la società e i suoi servizi, oggi, tra il potere del nuovo e l’impotenza del consunto.
E, così, per tornare sul semplice, ci si chiede in molti, che significato “sociale” dovremmo dare, al di là dell’evidenza della necessità, alla particolare attenzione che si pone per la costruzione di un tribunale, di un carcere o di una caserma nuova se a loro contorno altre strutture pubbliche o infrastrutture di pubblico servizio - a cui si dovrebbe affidare o far favorire la crescita e la produttività futura di una società - non sono degne di pari attenzione?