La storia della grotta di Siracusa è una storia a metà strada tra mito e leggenda come ve ne sono tante, giustificata da esigenze di tirannide a cui si è ben associata la tradizione della delazione veneziana. Miti superati? Tutt’altro. In un’epoca che pone la tutela della privacy al vertice delle conquiste civili di uno Stato di diritto, mai la vita privata del cittadino è stata così violata come oggi, piegata spesso a favore di tesi precostituite da parte di chi, a vario titolo, può interpretare frasi, espressioni, intercalari e altro accedendo al privato del cittadino.
Una violazione che si manifesta nel superamento dei divieti posti dal codice di rito. Un codice, quello di procedura, che impedisce – salvo limiti molto precisi - ogni pre-costituzione di fattispecie o ipotesi di reato se costruite solo sui contenuti delle comunicazioni “ascoltate” rinviandone, invece, l’utilizzabilità all’acquisizione di altri, concreti elementi che colleghino univocamente quanto acquisito dai dialoghi alla condotta poi espressa.
La vicenda del Guardasigilli non dovrebbe meravigliare nessuno, tantomeno lo stesso Ministro. Non è stato l’unico (o unica). E, tuttavia non credo che Le si debba imputare parzialità o il mancato distacco che una certa Ragion di Stato avrebbe consigliato. La verità è che in un Paese nel quale spesso le norme vengono interpretate superando limiti sostanziali e procedurali, forse porre la riforma della Giustizia tra gli obiettivi del proprio mandato sarebbe stato un buon salvacondotto politico e morale.
Controllare l’esercizio delle attività di intercettazione quanto il ricorso alla custodia cautelare, garantendone ogni cittadino dall’abuso e procedendo a termini di legge, avrebbe evitato al Ministro di doversi dispiacere e dato coerenza alla sua azione “umanitaria” e politica. Un’azione da estendere a tutti coloro i quali di tale sistema possono essere vittime. Un’azione da sottrarre al tiro incrociato di coloro che su tale impunità di fatto esercitano poteri e funzioni e da chi pone le vite degli altri in vetrina per soddisfare ragioni non richieste dal codice di rito e per censurare fatti o circostanze non previsti dal codice penale.