Mentre le nostre mamme fanno i conti ogni giorno con il quotidiano dividendo il loro tempo tra carrelli della spesa, bollette varie e mercati ci sono agorà affollati di economisti d’alta scuola che hanno ricette pronte per assicurare un futuro di ripresa ad un Paese che rincorre se stesso. E, alla fine, l’unica ricetta proposta, dopo aver illuso l’Italia e l’italiano che l’ingresso nell’euro ci avrebbe dato maggior rilancio e “peso” politico in Europa, sembra essere quella di uscire dallo “spazio” nel quale han voluto farci entrare senza ammettere che l’errore, se di errore si è trattato, è tutto italiano.
Siamo entrati a gamba tesa con dei conti non “rispondenti” alla realtà Paese. Potevamo avvalerci della clausola “opting out” prevista dall’art.12 del protocollo aggiuntivo al Trattato di Amsterdam e decidere di “entrare” in tempi, e con conti, migliori ma non ne abbiamo fatto uso, contrariamente a quanto ancora oggi accade, ad esempio, per Gran Bretagna e Danimarca. Abbiamo fissato, e ancora oggi nessuno ci spiega con correttezza in base a quale artificio contabile, un controvalore lira contro euro pari di 1,936 lire per 1 euro.
Abbiamo evitato di controllare i prezzi al consumo facendo si che si consolidasse un cambio farlocco sui beni di consumo di 1 euro = 1000 lire con i redditi da lavoro espressi al controvalore ufficiale (1 euro = 1,936 lire) riducendone, così, il potere d’acquisto. L’uscita dall’euro non sarebbe indolore. Prima conseguenza: necessità di svalutare la lira per favorire il nostro export e sostenere la nuova moneta e il sistema economico che essa rappresenterebbe; ciò ammesso che l’Italia esprima ancora volumi di export importanti e tenuto conto dell’aumento dei costi delle materie prime importate che non potrebbe non incidere sulla competitività dei beni/prodotti finiti tranne che non si voglia abbattere il “costo del lavoro”.
Secondo, i redditi da lavoro perderebbero ancora di più potere d’acquisto. Forse il problema, allora, è come stare nell’euro. La ricetta possibile: un sacrificio collettivo. Acquistare una quota-parte del debito pubblico in proporzione al reddito familiare percepito a tassazione ferma per il breve periodo. Obiettivo: abbattere il peso del debito pubblico in misura tale da rinegoziare il cambio euro vs lira e far recuperare potere d’acquisto agli italiani senza modificare i volumi di reddito percepito. Il resto, quello più difficile: mantenere una sana economia pubblica.