E’ certamente un gran segnale il sapere che c’è un territorio in movimento che non si arrende ai luoghi comuni, che crede finalmente di poter abbattere ritardi e comodi adagi di una vita troppo tranquilla, se non proprio rassegnata. Qualunque dinamismo che rende vitale una società ha del positivo se ciò serve a movimentare gli animi, a dare senso al quotidiano, a costruire percorsi comuni attraverso i quali dotarsi di un futuro. Certo non è semplice se riflettiamo sulle nostre esperienze o, meglio, non-esperienze imprenditoriali in Calabria, e nella locride in particolare, o di marketing territoriale che man mano si sono aperte negli anni e chiuse senza risultati.
Ma non è certo un buon motivo per non ritentare. Eppure, quando sento parlare di marchi d’area, di marketing territoriale il mio pensiero va altrove. A coloro che del territorio, del clima nonostante le diversità di latitudine, ne hanno fatto un motivo di eccellenza, un modo di restituire quanto il territorio merita partendo da un presupposto fondamentale: il rispetto. Fare marketing territoriale significa tutto e può significare nulla se a premessa di ogni iniziativa non vi è una cultura del rispetto di ciò che respiriamo, di ciò che calpestiamo, delle peculiarità delle nostre terre, della storia dei nostri piccoli paesi o di ciò che ne rimane, delle caratteristiche naturalistiche e produttive che la tradizione ha offerto prima di annichilirsi dietro le comodità consumistiche confezionate altrove.
Leggere gli obiettivi della nuova iniziativa fa certo effetto ed è motivo di fiducia. Ma è anche ricordo di parole già sentite, enunciate, scritte e riscritte senza poi avere a riscontro risultati concreti. Fare marketing territoriale non significa solo certificare un clima, cosa abbastanza complicata, ma si può fare. Significa certificare modelli di tutela, di promozione, di organizzazione, di produzione che fanno del territorio una risorsa plurale e capace di coprire quanto il rapporto tra uomo-ambiente richiede: una sinergia senza compromessi, leale. Ognuno di noi può fare due passi nelle nostre ruralità e guardare lo stato delle colture o chiedersi che fine hanno fatto le piccole abilità agricole o quella minima ma genuina ospitalità che nella sua semplicità era molto più decorosa dell’ipotesi dell’industrializzazione turistica mai decollata, ma capace di lasciarci ancora oggi malcelati scempi paesaggistici.
Marchio d’area o marketing territoriale? Si, certo, ma con l’umiltà di guardare cosa hanno fatto negli anni altre esperienze, regionali e locali. E non si tratta solo della Valle d’Aosta o del Tirolo piuttosto che la Liguria come regioni, ma di vallate, di piccole realtà che hanno saputo utilizzare strumenti semplici, ma incredibilmente efficaci per far si che ogni lembo del territorio esprimesse se stesso. Così come, per citarne una, la Val di Gresta, la valle degli orti biologici, dove ogni centimetro quadrato è ambiente, natura, vita e produzione. Ricchezza e benessere delle cose semplici trasformate in gioielli da tutelare. Una delle tanti valli lontane, forse troppo per un’Italia che vorrebbe farcela, ma si dimentica che esperienze e successi devono essere condivisi e per essere condivisi, adattati e riproposti, devono essere conosciuti, apprezzati e umilmente considerati senza inseguire eccellenze d’occasione.