A volte credo che in molti si domandino se siamo o meno la terra delle occasioni mancate o dell’abbandono. Ovvero se, per casualità storica o per responsabilità politica, siamo destinatari di una sorta di rassegnata consapevolezza della difficoltà a far decollare qualunque progetto di crescita di impresa o sociale dopo esserci illusi, ogni volta, che potesse essere la volta buona. Non solo.
Se dovessimo rileggere un inserto di un autorevole quotidiano torinese, potremmo trovare termini come rassegnazione, frammentazione e altre locuzioni e circonlocuzioni che tentano di disegnare una realtà, quella calabrese, che ancora oggi in molte occasioni viene vista come non unica, ma ridefinita e ricondotta in un’antica definizione che vede nelle Calabrie il sopravvivere di un modo di agire localmente avulso da ogni raccordo non solo politico, ma identitario. Una considerazione che fa scrivere ad un alto magistrato che […] La società calabrese è realmente isolata dal resto del Paese…[…] e, questo, perché […]…non esiste la Calabria, ma le Calabrie…[…].
Ora, che non vi sia una visione di insieme di una terra che progettualmente va per conto suo mi sembra che i dati di fatto dimostrino chiaramente più delle intenzioni quali siano i risultati ottenuti. Così come ogni occasione è propizia per lanciare nuovi programmi, indicare passaggi fondamentali per raggiungere obiettivi di crescita, ma ci si dimentica di un aspetto fondamentale: la necessità di una idea comune di sviluppo a monte, le modalità attraverso la quali realizzarla e come renderla sinergicamente adeguata alle capacità di produzione della regione in un’ottica di programmi condivisi da ogni singola realtà locale. Un percorso direi logico, non certo prodotto da chissà quale valutazione accademica o da illuminati propositi.
Un percorso ragionevole e fondato sulla ragionevolezza di sapere cosa si vuole nel futuro per un futuro che vede partecipe ogni comunità locale trasformando il “locale” in una parte fondamentale del “globale”. L’azione locale non è, quindi, solo un qualcosa che contraddistingue la possibilità di investire e creare progetti di valorizzazione di un territorio. E’ un raccordo tra territorio e regione e tra questa e il Paese nella misura in cui lo spirito dell’agire è dettato dal sentirsi parte di un disegno più grande e di cui si dovrebbe essere un tassello importante. Tuttavia, guardando anche alle sole vicende della locride, che si tratti del Gal, o di iniziative di indirizzo imprenditoriale provenienti da altre istituzioni ci si rende conto che ognuno fissa e interpreta la propria azione al di fuori di un modello di crescita condiviso.
Come se ogni singolo futuro imprenditore o produttore possa fare a meno di un mercato, del lavoro o dei beni, che interagisca con tutte le diverse forme di produzione che dovrebbero contraddistinguere il modello economico regionale. E, allora, probabilmente è vero che esistono più Calabrie, dove ognuna interpreta a modo proprio le funzioni di un Gal o il sostegno all’impresa. Realtà diverse, ognuna delle quali inizia sempre il suo percorso convinta di essere giunta finalmente all’uovo di Colombo. Peccato che le uova siano sempre tante e ognuna, alla, fine senza la sorpresa sperata.