Così, quando si affrontano anche i drammi della criminalità o della mancata crescita in regioni come la nostra ci sforziamo di comprendere perché certi fatti accadono, quale sia la ragione che impedisce di considerare come valore una idea di convivenza che possa rappresentare la base essenziale per ogni progetto di sviluppo, di affrancamento dal bisogno, dalla reale condizione di godere dei vantaggi di una vita più partecipata. Il perché non è difficile. E’, anzi, drammaticamente molto semplice, ma troppo vicino per essere forse visto e affrontato con quell’umiltà necessaria di chi ne è responsabile, famiglia in primis e autorità pubbliche subito dopo: si chiama “educazione”. Che si tratti della marginalità che contraddistingue il radicalismo islamico o l’abbandono delle giovani generazioni del Sud il risultato è, al di là del livello di violenza esprimibile, che la mancata educazione e il mancato rispetto dell’altro rappresentano gli argomenti migliori per condannare una comunità a retrocedere malgrado ciò che la circonda viaggi molto velocemente.
Educazione e rispetto dell’altro sono valori che si professano quotidianamente ma richiedono piccoli, ma significativi, gesti che non sono sempre così scontati. Qualche giorno fa guardavo un ragazzino con la sua bicicletta esibirsi in uno slalom contromano su una via principale di un comune della costa jonica per concludere la sua baldanzosa corsa sul marciapiede, impedendo a due signore di una certa età di poter continuare in sicurezza l’uso del marciapiede stesso. Non solo. Dovendo sicuramente far fronte ad una commissione improcrastinabile parcheggiava il suo bolide a due ruote in maniera tale da impedire il libero transito pedonale sul marciapiede. Riprenderlo? Spiegargli l’uso e il non uso della bici o dei manufatti viari? O forse sottolineare il rispetto per le persone anziane o per il prossimo? O, forse, credere che abbia avuto in se la sensibilità necessaria dell’aiuto o della compassione ma sacrificata, suo malgrado, per compiere una missione di famiglia urgente? Credo proprio di no.
Guardando gli occhi, constatando l’atteggiamento di sfida di tale eroe quotidiano potevo affermare con certezza che la nostra, e anche la mia, presunta poca educazione di qualche decennio fa era sicuramente molto inferiore a quella che osservo perché essa era espressione di una condizione marginale di vita nelle strade e piazze di paese e perché, nonostante tutto, ci era molto chiaro quali fossero i limiti della spavalderia guascona di fronte ad un anziano o nell’uso di un bene comune. Oggi, con una scolarità più diffusa e una sensibilità, probabilmente a parole, sui percorsi educativi necessari, credo che il livello di insensibilità percepibile e verificabile sia la dimostrazione di quanto si sia retrocesso nell’educare piuttosto che evolvere verso forme cooperative. E, mi si perdoni, non si dica che questo sia un caso.
Seppur siamo la terra che abbandona i particolari alla grandezza dell’appariscenza, questi sono, al contrario, fondamentali, chiari, emblematici. Come è emblematico uno sguardo, un gesto, una cortesia, un saluto o la correttezza di non sporcare e di non distruggere ciò che è di tutti. In questo gesto vi è la chiara ed ineludibile risposta ai sacerdoti dell’educazione contemporanea che dovrebbero capire che legalità e crescita non sono solo prodotti di una cultura che si vuole imporre, ma di una capacità di educare. Ed è qui il successo o il fallimento di un’idea di crescita. Un’idea che, per quanto decantata è ancora, purtroppo, solo un orpello per chi della crescita e dell’educazione, di se stesso e del mondo in cui vive, ne fa motivo di spocchia. Mah certo…dirà qualcuno…sono ragazzi!
Educazione e crescita
Credo che in tanti in questi giorni siano stati colpiti, ancora una volta, dal vile attentato terroristico consumatosi a Barcellona, in Spagna. E credo che in tanti si siano date diverse interpretazioni o si siano esercitati in commenti ed analisi quasi come se si trattasse di una partita calcistica.