E’ incredibile quanto noi italiani siamo così sensibili alle cause altrui, trasformandole, poi, in cause nostre. Siamo così attenti che alla fine crediamo, come sempre, che l’orto a noi prossimo possa avere terreno più fertile ed offrire prodotti migliori. Se il nostro risveglio autonomistico è dovuto alle vicende catalane dovremmo essere così puntuali per comprendere che la Spagna, autonomismo o meno, rappresenta comunque un’idea di nazione.
Un’idea di Stato che forse ha qualche secolo in più rispetto alla giovane …Italia, dal momento che esso si afferma dall’unione dei due regni, il castigliano e l’aragonese, dopo la reconquista. Associare il movimento catalano, quindi, alle nostre pretese autonomistiche ha poco senso o, meglio, ne ha solo uno: quello di raggiungere un’autonomia fiscale o, forse ancor più precisamente, una più indipendente capacità di potere di spesa riducendo il gettito destinato allo Stato. La richiesta della fronda lombardo-veneta decisamente ha un suo fondamento in termini di principio guardando al riconoscimento concesso ad alcune regioni di potersi avvalere di un regime di autonomia speciale e, quindi, discriminatoria in termini di principio, nonostante i …principi fossero quelli di assicurare a popolazioni di particolare storia e vicende una maggiore capacità di autogestirsi.
Ora, se le intemperanze autonomistiche riecheggiano in un referendum cosiddetto consultivo, di certo non si può credere che il risultato, qualunque esso sia, possa disperdersi nell’oblio del tempo senza provocare degli effetti politici. Probabilmente la difesa dell’art. 3 della Costituzione rappresenta un nobilissimo richiamo per controbilanciare un pericolo di spostamento in avanti di regioni i cui governatori – siamo onesti - dimostrano credibilità politica e amministrativa. Tuttavia è singolare come tale difesa di un articolo di una Costituzione si manifesti, oggi, in una sorta di volontà di riprendere argomenti storico-identitari e storico-politici quasi a voler far confrontare su un articolo “nazionale” ciò che sembra essere un confronto tra una riedizione dell’identità lombardo-veneta con un sussulto di dignità post-borbonica.
Ora, che si tratti di art.3 della Costituzione repubblicana o di un’altra norma del titolo I, mi sembra strumentale il vedere dividersi un Paese che da sempre procede con due velocità e non solo per colpa di uno Stato che delega quando crede e non controlla quando fa comodo, ma perché diverse sono le esperienze storiche e le capacità politiche messe in campo da chi questo Stato compone. Il confronto non è più solo tra Nord e Sud, ma tra chi è capace e chi no. Che la classe industriale del Nord abbia di fatto potuto godere di anni di sviluppo e di crescita, con i relativi benefici nella offerta di servizi e di qualità della vita, ciò non è altro che merito della sopravvivenza di un’idea asburgica di efficienza burocratica che ben poco aveva a che spartire con quella della nuova Italia.
Se il Sud ha annaspato nel tempo nella chimera dello sviluppo lo è perché, con buona pace dei neoborbonici del momento - e fermo restando le motivazioni della “conquista” del Regno delle due Sicilie - il governo della mistica delle tre “effe” (farina, forchetta e forca) in fondo rappresentava il potere napoletano la migliore sintesi per un’idea di Stato ancorato al latifondo e ben lungi, per questo, dal favorire la crescita di una borghesia imprenditoriale. Insomma, di fronte a tale ennesima nemesi storica dell’identità di un Paese dovremmo chiederci oggi, presi da questa consapevolezza di popolo abbandonato e a fronte di una presenza significativa di politici meridionali negli anni, dove fossero costoro mentre ben altri politici guardavano agli interessi delle proprie comunità.
L’autonomismo forse può rappresentare una risposta ad uno Stato miope o poco accorto quanto il richiamarsi all’art.3 della Costituzione un buon motivo per ricordarsi su quali principi amministrativi questa Italia è stata costruita. Tuttavia, guardando da Sud e verso Sud, il pericolo è che per alcuni tale richiamo possa rappresentare un nuovo alibi per nascondere ancora una volta quell’incapacità di investire in un nostro autonomismo restituendo il più facile assistenzialismo al mittente.