C’era una volta in un paese delle colline della locride una cava di gesso che rappresentò, per anni, un esempio di piccola industria estrattiva capace di dare lavoro a molte famiglie. Non era certo una realtà di dimensioni tali da assicurare una piena occupazione ma, nel suo piccolo, essa rappresentava una discreta forma di trasformazione del gesso in un semilavorato utile per diverse applicazioni industriali e artigianali. Ovvero, destinato a permettere la produzione di prodotti per l’intonaco o per elementi di complemento per gli interni.
C’era, inoltre, sempre una volta, un quartiere piccolo piccolo, con una vista panoramica su una vallata molto nota a ridosso dell’Appennino jonico reggino. Una vallata ampia che apriva lo sguardo verso profondità di un verde che si perdeva man mano e che per l’immaginazione di noi piccoli ragazzi essa era la via per quello sport del momento che si consumava in partite di calcio arrangiate in un campo improvvisato tra gli alberi consunti, spesso, da un vento senza anima.
In questi ricordi che si sovrappongono alla realtà sembra che tutto sia stato dimenticato. Certo, vi sono “memorie” ben più importanti che rispondono ad un politicamente corretto. Ma sia il ricordo dell’industria che del quartiere che su di essa si apriva hanno qualcosa di particolare oggi e, forse, si dovrebbe guardare ad essi con occhi più attenti per due ordini di motivi. Il primo dato dal fatto che ricordare una esperienza industriale di certo non trascurabile per un paese di poco più di tremila anime, allora, significa recuperare il “ricordo” di una capacità di impresa e di abilità lavorative che in un certo senso dimostravano una certa controtendenza. Il secondo, riscoprire il valore del lavoro e dell’iniziativa poiché ciò significa ricordarsi che forse si poteva conservare un patrimonio di conoscenze e di abilità artigiane da sostituire man mano alle prevalenti opere estrattive.
In questo modo, facendo si che il “Paese del gesso” lo fosse non solo per le case, in verità ormai poche quelle sopravvissute al tempo e all’abbandono, ma per una sua capacità di lavorare questo minerale e di trasformarlo adeguando la produzione alle esigenze di un mercato che nel campo della decorazione di interni di certo non è in crisi. Non solo. Il ricordo della estrazione e produzione del gesso si perde oggi, in assenza di un progetto se non di reindustrializzazione quanto meno di archeologia industriale che tenda a recuperare il “ricordo” di tale esperienza magari con un percorso storico-didattico che rispetti la memoria di chi vi ha lavorato, in uno sguardo smarrito di chi, tra le fronde disordinate di un verde tropicaleggiante, vede spuntare le strutture arrugginite di ciò che è stato e non sarà più.
Alla stessa stregua, alzando gli occhi vero il quartiere panoramico sospeso in passato da contrafforti e arcate in pietra di sublime ingegneria degli anni Cinquanta, si potrà notare come il quadro del ricordo diventa unico raccordando, nella sua triste cornice, la visione del crollo delle arcate, la fragilità di un quartiere che rischia di trascinarsi a valle unitamente ai resti di quella “fabbrica del gesso” che era l’anima della vallata. Probabilmente la memoria a volte fa brutti scherzi perché ci dimentichiamo, presi da entusiasmi di eccellenze presunte e di argomenti politicamente più appetibili, che alla fine sono i ricordi più vicini, quelli concreti.
Quei ricordi che sono Memoria e che non possono essere sepolti da cumuli di pietre senza più storia, stritolati da strutture di ferro che hanno macinato vite e capacità lavorative e oggi le presentano nella bruttura di un semplice ammasso informe di ferraglia.