"…La democrazia non è solamente la possibilità ed il diritto di esprimere la propria opinione, ma è anche la garanzia che tale opinione venga presa in considerazione da parte del potere, la possibilità per ciascuno di avere una parte reale nelle decisioni…”
Alexander Dubcek

Scordiamocelo. La Calabria non è il Veneto e, meno che mai, la Catalogna

Nelle ultime settimane abbiamo respirato diverse arie provenienti un po’ dal nostro Nord e abbastanza dal fronte iberico. Fronte, quest’ultimo, noto soprattutto per le citazioni metereologiche che fanno della penisola iberica il nostro primo avamposto ai virtuosismi climatici dei vari anticicloni che giungono sulla nostra piccola appendice di penisola. Ma non solo. Ci siamo così sentiti parte in causa di una volontà di discussione dei termini democratici e costituzionali di altre regioni d’Italia, Lombardia e Veneto, e di una regione di un membro dell’Unione europea come la Catalogna, al punto di costruire un giusto, e assolutamente dovuto, movimento di opinione.


Ma lo abbiamo fatto perché ci siamo sentiti più parte esclusa che non protagonisti di un pensiero autonomista che sembra minacciare il nostro futuro. Un pensiero che, anche se esso va discusso in termini giuridici oltre che politici, di fatto anche in questa occasione ha posto come sempre la Calabria a ridosso dei grandi eventi non solo perché li vive di rimessa, ma perché ci si tende poi - dopo aver subito l’iniziativa altrui che ci sveglia dal nostro secolare letargo - a porre come paladini di valori e principi attraverso i quali vorremmo difendere non si sa se l’unità della nazione o un nostro, non molto chiaro, desiderio di autonomia che credo, in verità, non esista.

La nascita di comitati di riflessione ritengo siano una manifestazione interessante di democrazia se aperti al confronto e se, soprattutto, orientati a guardare alla verità dei fatti piuttosto che essere espressione di luoghi comuni ormai stantii a cui in pochi credono nel resto del Paese. Se così fosse allora dovremmo poter riconoscere che nei processi politici di crescita di modelli come quello lombardo o veneto ci sia stato qualcosa da condividere sia nella gestione della cosa pubblica che delle risorse. Ma non credo, in tutta franchezza, che tale confronto sia possibile.

Se la Lombardia ha fatto dell’industria prima, della terziarizzazione e dell’economia finanziaria poi e della ricerca il proprio successo, di certo il Veneto, unica regione con la quale potremmo condividere il dramma passato dell’emigrazione e dell’economia del latifondo, dovrebbe essere sulle nostre posizioni ma non lo è. Il Veneto condivide, al contrario, un successo economico con la Lombardia, e con altre regioni italiane, che va ben oltre l’autonomia che chiede oggi avendo ben utilizzato non solo le rimesse dei suoi emigranti investendole sul territorio, ma godendo, seppur con i limiti dell’umana capacità, di una governance locale di tutto rispetto.

Noi forse potremmo condividere solo con i catalani l’animosità del momento. Tuttavia, anch’essi, in fondo, mettono sul piatto delle capacità economiche e di crescita che non sono seconde alle altre regioni spagnole, anzi tutt’altro. Capacità e ricchezze che comunque non possono pregiudicare un sentimento di unità nazionale costruito su pari opportunità, ma anche su pari libertà e sulla volontà di rimboccarsi le maniche per diventare ciò che la Catalogna è divenuta negli anni. Noi dovremmo avere la definitiva umiltà di riconoscere cosa non abbiamo fatto, domandarci dov’era la nostra classe politica di ieri, che è ancora parte di quella di oggi, quando si doveva costruire, valorizzare, chiedere senza elemosinare per realizzare e restituire la fiducia. Ogni pretesa può essere giusta, ma per esserlo essa necessita di credibilità e di lavoro. Perché solo nei fatti e nei risultati il disaccordo è legittimo come la protesta, escludendo il dubbio del pretesto.

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