Capita spesso che su alcuni argomenti che dovrebbero essere considerati superati o almeno compresi si debba tornare ancora una volta rischiando di essere noiosi, se non proprio di essere considerati pretestuosi. Tuttavia, è anche vero che delimitare il campo delle verità con quelle delle promozioni giornalistiche diventa necessario per due ordini di motivi.
Il primo, per chiarire quali sono i limiti entro i quali si possono spostare le responsabilità verso un servizio che è anche, giustamente come ricordato, un “diritto”. Il secondo, perché si rischia di voler ricercare giustificazioni utili che siano politicamente corrette, ma che in fondo sono opportunisticamente ricercate. Che il ministro della salute abbia alla fine ricevuto una delegazione di sindaci è certo un aspetto non di poco conto se non altro perché, dopo una prima marcia su Roma non così produttiva, questa volta si è giunti ad essere ricevuti nel fascino della vita politica capitolina. Ciò nonostante, però, vediamo che cosa ne è scaturito leggendo le dichiarazioni che circolano sul web: l’invio di ispettori per verificare l’andamento amministrativo dell’ospedale di Locri.
Ora, io credo che l’invio di ispettori ministeriali per verificare la gestione “commissariale” di un ospedale non rappresenti al momento nulla di particolare, ma solo una risposta interlocutoria, e corretta, del ministro. Ma ciò che rimane sul tavolo, e nessuno ne scrive, è che ad oggi, viaggi nonostante, non mi è parso di leggere proposte avanzate verso una riorganizzazione da parte regionale e locale del servizio alla salute. Cioè, per dirla con parole care a chi le ha usate, non mi sembra si sia dichiarato con dovizia di particolari da progetto come, con che risorse e per cercare quale qualità si vorrebbe garantire il “diritto alla salute”. Fermo restando che i motivi del “commissariamento” della politica sanitaria calabrese nascono, maturano e si risolvono in Calabria -considerato che sino ai vari commissariamenti dell’ospedale di Locri come di altre realtà, la gestione politica ed amministrativa era calabrese- mi chiedo come e in che termini si voglia garantire un diritto alla salute se chi doveva controllare in passato non lo ha fatto. Ricordo, infatti, che i sindaci hanno il diritto di prendere visione dei bilanci della aziende sanitarie e possono inserirsi nei processi decisionali che riguardano le politiche dei servizi offerti sul territorio.
Oggi, questa vittoria a metà sembra però voler evitare possibili riflessioni sul fatto che la ministra ha disposto ciò che non poteva non disporre: un controllo su ciò che forse andava controllato da chi del diritto alla salute è il primo garante sul territorio, la regione e con essa i comuni. Credere che l’aver ottenuto l’invio degli ispettori ministeriali possa essere letto come un successo francamente è come chiedere a terzi di venire a controllare ciò che non siamo riusciti o non riusciamo, o non vogliamo, verificare in casa nostra dimenticandoci del perché, sulla salute, siamo stati commissariati. Se questo è quanto desideriamo, allora quanto ottenuto può essere letto come un successo. Ma se qualcuno volesse garantire concretamente il diritto alla salute dei cittadini della locride come della Calabria intera, con pari dignità di altre esperienze, allora dovrebbe forse dire e chiedere qualcosa di più.
Dovrebbe proporre piani sanitari nuovi. Dovrebbe individuare le risorse e decidere come distribuire i servizi sul territorio e controllare, soprattutto controllare, come e in che termini i servizi sanitari vengono offerti al cittadino, come vengono distribuiti i reparti e le nomine ai primariati senza farsi condizionare dalle scelte di una politica che è la prima responsabile nel non aver garantito il diritto alla salute che oggi si intende difendere. E così, e solo dopo, chiedere a Roma di chiudere il commissariamento dimostrando, coloro che si sono assunti l’onere di guidare una comunità, di avere idee, soluzioni e risorse adeguate per gestire al meglio un “diritto” la cui garanzia è compito proprio di quella politica locale che ne denuncia oggi la negazione.
Se così non sarà, allora ricorrere all’intervento romano resterà l’ennesima riprova di come ci si è voluti smarcare dall’entrare nel problema per lasciarlo alla deriva del politicamente corretto. Ovvero, nello sperare che, nei fatti, altri, come sempre, ci levino l’imbarazzo di dover decidere e assumerci, personalmente e politicamente, sia l’onore di un eventuale successo (sempre utile se riusciamo ad impossessarcene) ma, soprattutto, la responsabilità di un ulteriore insuccesso (possibilmente da attribuire ad altri). E’ in questo modo, sulla salute come in altre materie, che parole come autonomia e sussidiarietà, oltre che capacità, efficacia ed efficienza e responsabilità di una governance si disperdono ancora una volta nel nulla.