"…La democrazia non è solamente la possibilità ed il diritto di esprimere la propria opinione, ma è anche la garanzia che tale opinione venga presa in considerazione da parte del potere, la possibilità per ciascuno di avere una parte reale nelle decisioni…”
Alexander Dubcek

Universo università

UniversitàCi sono diversi argomenti che potrebbero toccare la nostra curiosità. Ad esempio le notizie di cronaca, che in fondo soddisfano la curiosità del noir che sopravvive in ognuno di noi, quasi a voler far assumere alla criminalità quella veste morbosa di un io nascosto che mal si adatta alle norme. Oppure vi è l’immancabile querelle politica costruita su una serie di polemiche su tutto e contro tutti, dove ogni giorno stormi di pensieri saccenti pontificano e propongono soluzioni mai perseguite se non nelle comode ospitalità di un convegno, o in una riunione di partito o attraverso generose concessioni di pagine di giornali.

Vi è poi un argomento che, considerata la costante e non occasionale migrazione dei nostri ragazzi verso altri lidi della formazione universitaria, potrebbe o dovrebbe incuriosirci un po’ e invece mi pare passato in nobile cavalleria. Ed è la classifica delle università italiane per il 2017. Ora, qualcuno direbbe, che non ci meraviglia, che si tratta di luoghi comuni, che le classifiche sono costruite con parametri precostituiti per far emergere sempre i soliti atenei. Andiamo innanzitutto ai dati. Il campione preso in esame è molto rappresentativo dal momento che non fa distinzioni tra Nord e Sud. E diciamo anche che in fondo, pur rimanendo il vantaggio del Nord sull’offerta universitaria considerata in termini di digitalizzazione e internazionalizzazione, anche questa metà virtuosa del Paese scopre delle mancate eccellenze se valutate in termini di posizioni conquistate.

Ma il problema non è questo. In fondo tute le università del Nord occupano buona parte della fascia intermedia. Tuttavia, se qualcuno crede che la retrocessione di università da primo posto possa giocare a vantaggio del Sud ciò si rivela una effimera aspettativa. Posizioni di vertice o di media virtuosità sono comunque ben occupate dall’altra metà del cielo “italiano” mentre le università calabresi, ad eccezione di Unical che probabilmente si difende per la sua anzianità, le altre affondano verso il basso del ranking nazionale formulato dal Censis per il 2017-2018. Tralascio di approfondire l’argomento da un punto di vista di chi è primo e di chi è ultimo e mi dirigo a formulare alcune osservazioni. Credo, e ne sono convinto, che l’università rappresenti non solo un traguardo formativo importante per uno studente.

Essa è, soprattutto oggi, una risorsa importante per un territorio dal momento che l’autoreferenzialità accademica non è più giustificabile dal dover mantenere appannaggi di cattedre offerte in ragione di chi deve insegnare e non attivate, al contrario, secondo le necessità del territorio nel quale l’Università insiste. Mi chiedo, ad esempio, quanto, in che modi e con quali risultati si sia realizzata una sinergia tra enti locali e università con piene e misurabili ricadute sulla qualità della vita di una regione. Mi chiedo, altresì, in che termini l’offerta didattica di una regione che non supera i due milioni di abitanti possa essere suddivisa in tre rettorati con addirittura la duplicazione di facoltà che spesso incidono soprattutto sul versante umanistico.

Ma mi chiedo come mai, ancora, per realizzare una efficiente distribuzione dell’offerta didattica e delle risorse non si sia organizzata l’Università in un unico rettorato attribuendo alle tre province, Reggio Calabria, Cosenza e Catanzaro, tre specificità dell’offerta accademica, ad esempio umanistico-giuridica ed economica, tecnico-scientifica, medico-biologica. Non solo. In un piano di razionale distribuzione dei corsi di laurea secondo una qualificazione areale, ci sarebbe stato posto per le specializzazioni post-laurea o per lauree triennali anche per le altre due province come Vibo Valentia e Crotone. Al contrario, invece di razionalizzare e impiegare al meglio le risorse distribuendole con efficacia sul territorio replichiamo molto spesso le stesse facoltà, e cattedre. Rinunciamo, così, a presentare non solo una diversificata e ragionata offerta accademica, ma si impedisce la formazione di istituti di ricerca ai quali affidare una efficiente produzione di risultati difendendo l’idea che l’università, alla fine, debba essere solo disponibilità e distribuzione di cattedre.

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