Rivalutare le bellezze storiche e paesaggistiche non è un vezzo di questi ultimi tempi. Apprezzare ciò che ci circonda non è nemmeno un esercizio di autocompiacimento se quanto osserviamo è ricordo della nostra storia o se rappresenta il perdere lo sguardo sui nostri luoghi. E' il giusto modo per sentirsi parte di un mondo che e' il nostro ....piccolo certo... ma è il nostro mondo.
Così come credere che ricordare o celebrare storie, tradizioni, ambiente siano solo il risultato dell’ammirare dei ruderi, o del soddisfare un palato esigente o del fotografare un ambiente possa assolverci dal nostro disinteresse quotidiano, fa si che ciò diventi un esercizio di ipocrisia. Ci sono posti e luoghi, infatti, che ogni giorno ci parlano, ci comunicano una storia, presidiano una identità e sono monito di una necessità di cura. Una richiesta di aiuto che è rivolta ad ognuno di noi perché' nella tutela di tali richiami lasciati andare al tempo, ogni nostro passo diventa privo di significato. Nelle giornate del FAI si è notato un attivismo quasi insolito.
Una sensibilità e una capacità di reinterpretare ciò che fa da cornice alla nostra vita e che in passato non avevamo dimostrato e promosso come dovuto per debito di civiltà. Oggi scopriamo che vi è qualcosa di artistico, di bello, di sconosciuto in un rudere di un castello o all'interno di una Chiesa. Storie di cavalieri lontani e ricordi popolari di comunità perdute. Paesaggi che digradano dalle montagne verso il mare dove le "fiumare" ne disegnano i limiti progressivi di una diversità che supera le monotonie pianeggianti. Scopriamo che ambiente e territorio sono beni da proteggere, da conoscere e approfondire. Una necessità piccola, ma grande nello stesso tempo e utile per trasformarci in eternauti di noi stessi.
Di fronte a ciò le giornate del FAI sono state un momento, una occasione per ricordare, valutare e proporre una lettura diversa di un patrimonio che calpestiamo, osserviamo con abitudinaria sufficienza, che abbandoniamo all' incuria di ogni giorno. Ma queste giornate passate come appuntamento dovrebbero ricordarci che i difensori, conoscitori e promotori di quanto è nostro, e non del sindaco o politico di turno, siamo solo ed unicamente noi. Perché esiste un modo quotidiano per ricordarsi dell’ambiente che è quello di viverlo conoscendolo e rispettandolo, ristrutturandolo per conservare. Perché ogni rudere lasciato alla sua sventura, mattone dopo mattone è il nostro perdere, giorno per giorno, quei mattoni di dignità con i quali si costruisce la grandezza di una comunità.
Una sensibilità e una capacità di reinterpretare ciò che fa da cornice alla nostra vita e che in passato non avevamo dimostrato e promosso come dovuto per debito di civiltà. Oggi scopriamo che vi è qualcosa di artistico, di bello, di sconosciuto in un rudere di un castello o all'interno di una Chiesa. Storie di cavalieri lontani e ricordi popolari di comunità perdute. Paesaggi che digradano dalle montagne verso il mare dove le "fiumare" ne disegnano i limiti progressivi di una diversità che supera le monotonie pianeggianti. Scopriamo che ambiente e territorio sono beni da proteggere, da conoscere e approfondire. Una necessità piccola, ma grande nello stesso tempo e utile per trasformarci in eternauti di noi stessi.
Di fronte a ciò le giornate del FAI sono state un momento, una occasione per ricordare, valutare e proporre una lettura diversa di un patrimonio che calpestiamo, osserviamo con abitudinaria sufficienza, che abbandoniamo all' incuria di ogni giorno. Ma queste giornate passate come appuntamento dovrebbero ricordarci che i difensori, conoscitori e promotori di quanto è nostro, e non del sindaco o politico di turno, siamo solo ed unicamente noi. Perché esiste un modo quotidiano per ricordarsi dell’ambiente che è quello di viverlo conoscendolo e rispettandolo, ristrutturandolo per conservare. Perché ogni rudere lasciato alla sua sventura, mattone dopo mattone è il nostro perdere, giorno per giorno, quei mattoni di dignità con i quali si costruisce la grandezza di una comunità.