Ci sono atteggiamenti e pensieri che molto spesso sembrano degli automatismi. Sembrano, in verità, una sorta di dato acquisito della nostra esperienza e del nostro vivere quotidiano a cui non facciamo più caso salvo se, qualche volta, qualcuno o qualcosa ci costringe a soffermarci. Difficoltà e ostacoli per i quali, anche se siamo pronti a guardarci dentro, alla fine nelle nostre menti hanno solo la durata di un battito d’ali.
Sono, queste, abitudini di pensiero e prassi consolidate nella condotta delle nostre azioni che contraddistinguono il nostro vivere e il nostro agire e che spiegano, se fossimo attenti osservatori di noi stessi, il perché proprio l’abitudine piuttosto che la rassegnazione di affidarci al contingente, contrassegna le nostre giornate. Non credo che ci siano argomenti che possano confutare con vigore una simile considerazione. Lo viviamo ogni giorno allorquando di fronte a qualunque problema di vita sociale o politica non si va oltre il proclama o una iniziativa da copertina senza mai chiudere il cerchio con una soluzione che dia risposte vere e concrete. Questo riguarda il lavoro, la sicurezza, l’efficienza dei servizi sanitari o i trasporti, la tutela del patrimonio naturalistico e culturale, la socializzazione e, anche, l’istruzione.
Prendiamo quest’ultima. Da una indagine conoscitiva di un sindacato del personale docente e non docente della scuola sembrerebbe che anche nella fruizione dei servizi scolastici il Sud segnerebbe il passo rispetto alle scuole di pari grado del Nord. Il riferimento è soprattutto alla scuola primaria e alla disponibilità del tempo pieno. Ovvero, se il Nord supera il 50% degli alunni che possono fruire del maggior numero di ore destinate alla formazione - ma anche alla socializzazione, al gioco in aula e all’ampliamento delle conoscenze - il Sud resta ancorato al 16,1%. E non è un dato da poco. Ciò significa che un bimbo su sei può accedere ad una formazione o ad opportunità di crescita condivisa mentre altri disperdono energie e tempo nei compiti a casa o nelle piazze dei paesi. Non ci vogliono grandi indagini da sondaggisti da prima pagina per capire, guardando i nostri bimbi, come e in che termini il tempo pieno sia ancora oggi una sorta di tabù storico per i nostri territori. E non è solo un problema di scarse risorse o di poche nascite, problema che affligge del resto tutto il Paese.
E’ un problema organizzativo e di comprensione sulla utilità di ancorare a progetti formativi, che riescano ad andare oltre la quotidiana interpretazione della scuola e del suo significato, il futuro dei giovanissimi alunni. Tuttavia, anche in questo caso l’abitudine vorrei credere, piuttosto che altro, impediscono una elevazione dei servizi scolastici ai livelli delle proposte educative messe in campo altrove. Abitudine e prassi del va bene così surmontate da difficoltà che si pongono come limiti prossimi a trasformarsi in alibi, che raggiungono anche la scuola dell’obbligo sin dai suoi primi momenti. Forse è per questo che, così come in altre circostanze, quando si parla di istruzione leggiamo, tra le poche apprezzate ed estemporanee iniziative, solo di lamentele e di scarsità di mezzi. Ovvero, le solite considerazioni di una terra che per abitudine e prassi i problemi li aggira sempre piuttosto che risolverli.