È straordinario leggere e approfondire quanto e in che termini la formazione sia oggi una panacea dichiarata e anche sperimentata in molti modi. Ma è anche straordinario leggere quanto e in che misura i fondi destinati ai progetti siano sempre molto presenti nelle politiche locali soprattutto se si tratta di “Alta” formazione. Ovvero, di una capacità di voler offrire un contributo di conoscenze ed essere stimolo per la crescita della persona, della professione dei team, delle organizzazioni di lavoro profit e non, orientata al perseguimento dello sviluppo delle competenze “secondo metodi comprovati ed efficaci”.
Ora, al di là del “Catalogo” con i requisiti per la partecipazione all’Alta formazione (http://calabriaeuropa.regione.calabria.it/website/bando/365/catalogo-percorsi-di-alta-formazione-professionalizzanti-progetto-strategico-calabriaaltaformazione.html), credo che una formazione qualificata non possa essere solo oggetto di una aprioristica valutazione di proposte. Se guardiamo ad esperienze maturate altrove non sarebbe raro verificare che al di là delle “alte” formazioni, genericamente così definite, in molti casi ciò che si individua prima è il tipo di investimento e le politiche occupazionali che si intendono porre in essere. Cioè, la ricerca di una destinazione produttiva o di una specificità economica di un territorio per la quale offrire le risorse necessarie alla crescita e all’affermazione di un’idea di sviluppo. Cosa significa? Che definito il quadro economico all’interno del quale si ridistribuisce la capacità di fare impresa secondo degli obiettivi prefissati, il compito è quello di formare le risorse da destinare alle richieste di chi vi investe o di chi vi produce con l’impegno ad assumere le persone così qualificate. Un esempio? Prendiamo l’esperienza degli Outlet.
Un’idea commerciale che ha rilanciato territori diversi del Paese ma, nel rilancio, ne ha riqualificato la destinazione economica. Molto spesso l’idea nasce da un progetto ben valutato e da un masterplan che non solo è il risultato di studi di mercato secondo bacini di utenza allargati, ma anche delle realizzazioni di strutture logistiche ritenute necessarie per sostenere delle attività economiche con ricaduta sugli enti locali che sono parte del progetto. I patti territoriali che nascono dal confronto tra amministratori ed investitori sono spesso molto chiari. E, cioè, a fronte di un sostegno alla implementazione dell’attività economica si chiede di tener conto, in percentuali proporzionalmente stabilite, di assumere personale nell’ambito dei comuni che gravitano attorno all’attività economico-commerciale con l’impegno, ovviamente, della formazione specifica per le mansioni o per le capacità di gestione che sono ritenute necessarie. In questo, come si vede, non vi è solo un “Catalogo” formativo generico e che si muove in assenza di idee specifiche di destinazione economica. Bensì ci si muove su una concreta valutazione di dove, come e in che termini si vuole investire e, deciso questo, si formano coloro che saranno occupati.
Ora se il “Catalogo” dell’Alta Formazione parte da premesse lodevoli, in un certo senso la genericità a cui esso si ispira è evidente. Non solo perché non vengono chiariti quali siano gli ambiti strategici nei quali la regione intende investire, e a tal proposito decidere di “formare”. Ma perché non si intravvede una soluzione occupazionale futura dal momento che i corsi di qualificazione, secondo valutazioni terze, rischieranno di formare e attribuire competenze che saranno fine a se stesse e con poche possibilità di trasformarsi in requisiti di impiego. Un esempio più vicino. Prendiamo il turismo. Non credo sia necessario un “Catalogo” per capire che la maggior parte dell’offerta turistica di qualità in Calabria non è calabrese. Così come gli operatori delle strutture più conosciute che offrono competenze di “alto” livello non sono necessariamente calabresi. Si pensi alla ristorazione dei villaggi o dei ragazzi che fanno animazione, generalmente reclutati da società che chiedono loro competenze ed esperienze specifiche. Eppure non sarebbe stato velleitario orientare la formazione qualificata dei nostri giovani nell’ambito turistico sottoscrivendo dei patti territoriali con le strutture presenti nella regione.
Un progetto “guidato” e contrattato dove a fronte di possibilità di occupazione concrete si sarebbero offerte le giuste risorse qualificate e “formate” per ben operare in un settore che rappresenta ancora oggi l’araba fenice della strategia di crescita di una regione che vanta, e si vanta, di disporre di 800 chilometri di costa. La verità è che un Catalogo di “Alta” formazione dovrebbe prevedere i settori, e i percorsi, formativi su cui investire dirigendo le richieste affinché ogni competenza sia aderente alle finalità di una politica di crescita coerente e sostenibile. In altre parole, il Catalogo dovrebbe individuare le esigenze e su queste costruire i percorsi. D’altra parte, se il valore della formazione è quello di favorire la crescita sia professionale che personale, se essa è la precondizione per dare respiro ad una necessità di impegno per tutto l’arco della vita allora - dal momento che essa è strettamente condizionata dal cambiamento, dalla trasformazione, dallo sviluppo dei processi produttivi – essa deve assumersi come obiettivo il miglioramento e lo sviluppo della persona, della professione, delle competenze ma in un’ottica di aderenza agli obiettivi territoriali di sviluppo. Perché se la formazione è ritenuta una sorta di processo di rinnovamento di conoscenze e di capacità, se essa rappresenta il presupposto della crescita delle conoscenze, allora più sarà risultato di un’idea mirata e di un progetto preciso meglio sarà la sua efficacia e la sua ricaduta in termini occupazionali. Il resto? Il rischio di vedersi offrire i soliti corsi su progetti finanziati, come sempre, dal fondo sociale europeo per una qualifica, e per aspettative, senza futuro.