In un tempo non molto lontano, solo dodici anni fa, scrissi un articolo per un quotidiano calabrese dal titolo Immigrazione. Una risorsa di ritorno. Tutto sommato, al di là del passato, non si trattava di una situazione diversa da quella di oggi. E mi ricordo, riprendendo l’incipit di allora, che le coste dell’Italia sembravano diventate l’approdo di una massa informe di individui, una comunità indistinta di migranti che guardavano al continente europeo come ad una sorta di possibilità di affrancamento dalla miseria.
Guerre e non guerre, ieri come oggi, la migrazione di anime è di fatto un fenomeno senza soluzione di continuità. Ma anche… purtroppo, senza soluzioni concrete in termini di gestione, inclusione dove possibile e se ragionevolmente condivisa e responsabile. Non vi sono dubbi che il fenomeno migratorio riguardi il Mediterraneo. Ciò avviene non solo perché si tratta di un mare e di uno spazio umanizzato rilevante per le relazioni politiche economiche e culturali tra i Paesi rivieraschi. Ma perché il Mediterraneo offre la più interessante e più antica manifestazione di diversità culturali, di popoli, di lingue, di economie. Uno spazio ristretto dove i drammi si consumano appena fuori dall’uscio di casa, ma i cui effetti si ripercuotono nei nostri cortili.
Ed è propri su questo convincimento che non cercherò di spiegare o trovare giustificazioni sulle due linee di pensiero che si confrontano oggi in materia di migranti. Non credo di dover indossare una maglietta rossa per manifestare un mio convincimento o una maglietta verde o di altra tonalità. Ne credo di dover individuare cause ben note dal rilievo geopolitico e non solo per affermare una opinione che ha un suo fondamento, che prescinde dalla strumentalità di usare il fenomeno stesso per strumentali motivazioni politiche disancorandolo da quello che è l’unico vero termine di azione possibile: gestirlo. I fenomeni migratori nel Mediterraneo non sono solo affare di uno Stato in particolare che paga il prezzo della sua collocazione geografica. Sono un affare che riguarda tutti gli Stati che compongono una comunità che proprio della diversità ne fa un argomento di distinzione e di promozione.
L’aver gettato nel cestino -per motivazioni che hanno ben poco da dire in termini di cooperazione e di valorizzazione delle comunità locali– il processo di Barcellona inaugurato nel 1995 e rivolto a creare un partenariato serio, concreto e operativo tra gli Stati del Mediterraneo e l’Unione Europea rappresenta il risultato più concreto di una miopia politica e strategica di un continente intero la cui storia si somma a quella dei nostri esatti dirimpettai. La verità è che oggi, al di là degli strumenti di gestione finanziaria che rappresentano una sorta di attrattiva per molti umanitaristi d’occasione, non vi è una onesta politica dei flussi e degli aiuti che superi il limite nazionale. Non vi sono ancora oggi azioni condotte in ragione di un quadro complessivo della gestione dei flussi e, tutto questo, fa si che il fenomeno sia di fatto ingovernabile.
La realtà contemporanea, infatti, tende a ridefinirsi continuamente in chiave multietnica con una permeabilità delle società più evolute che rende difficoltosa qualunque scelta politica di argine senza capacità di governo del fenomeno migratorio. Ma è altrettanto vero che se l’Europa si presenta sempre più multietnica -e se il processo interrazziale quale confronto culturale e di capacità nel realizzare modelli economici e sociali diversi e allargati tende a consolidare gli effetti in una percezione di una presenza costante, divisa tra la paura dell’altro e la necessità della forza/lavoro non nazionale– allora diventa sempre più determinante rimodellare le comunità continentali. Magari difendendone l’identità, certo, ma garantendo livelli di integrazione che siano vantaggiosi per entrambi: sia per il migrante che per la comunità ospite.
In questo rapporto dualistico fra offerte diverse di regole di convivenza, nella difesa della comunità nazionale di propri valori giuridici e culturali, l’integrazione della diversità rappresenta lo strumento per realizzare un’architettura nuova per un continente allargato che pone il Mediterraneo al centro della regione. Ma ciò implica l’abbandono della mistificazione per chi usa l’estremismo sovranista, la chiarezza di idee per chi deve governare, l’onestà nel chiedere in cambio rispetto e impegno civile al gesto umanitario offerto per chi difende il senso dell’ospitalità.