L’estate è certamente una stagione molto complessa ancorché attesa per la sua capacità di renderci più vivi, dinamici, affrancati dal torpore invernale e votati alla ricerca di nuovi stimoli vitali. E ciò sembra essere valido anche per la politica. Di sicuro noi italiani non ci siamo fatti mancare una primavera molto interessante e forse anche attesa. Una primavera politica per certi versi che, piaccia o meno, ha spazzato via una serie di inverni rigidi e grigi nella loro gelida sintesi monotematica aprendo le porte ad un’idea di cambiamento se non di vitalità vera e propria.
Insomma, dovremmo essere intellettualmente onesti - cosa non facile per chi vive da decenni ostaggio delle logiche partitocratiche - ed ammettere che in fondo dal 4 marzo molto è cambiato. E non solo perché l’asse politico Lega e Movimento Cinque Stelle sembra aver disarcionato ciò che restava sia del consociativismo di una sinistra senza temi che di una destra apparente che sopravvive solo nella forza di un leader sempre meno maximo. Ma perché essere monotematici o ridurre argomenti che meritano un approfondimento serio, allargato ed onesto soprattutto, deve andare al di là delle barriere ideologiche o della difesa di una segreteria o di una poltrona.
Eppure sembra che la lezione non sia bastata. L’attenzione ancora una volta è posta sull’argomento dei migranti. Dei migranti, attenzione, e non delle migrazioni. Un po’ perché sembra essere l’argomento verso il quale si può dirottare ciò che rimane di un umanitarismo benpensante e molto chic nelle parole, meno nei fatti. Un po’ perché, in fondo, su tale argomento si sono misurate vittorie e sconfitte recenti e il cui significato stenta ancora una volta ad essere ben compreso. Sorvolo sulle valutazioni della qualità e della profondità di comprensione dei fatti sociali della classe politica che l’Italia esprime nel suo arco costituzionale da decenni.
Ci aveva già pensato Sartori e non credo che vi siano altre parole per sostituire quelle di un attento politologo come l’insigne professore allorquando affermò, circa il rapporto tra Occidente e mondo islamico, che […] …l’'unico modo di risolvere i problemi è di conoscerli, di sapere che ci sono. Il semplicismo li cancella e così li aggrava…[…]. Oppure nel suo dire che […]…non mi importa nulla di destra e sinistra, a me importa il buonsenso. Io parlo per esperienza delle cose, perché studio questi argomenti da tanti anni, perché provo a capire i meccanismi politici, etici e economici che regolano i rapporti tra Islam e Europa, per proporre soluzioni al disastro in cui ci siamo cacciati…[…]. Oggi si potrebbe quasi dare del leghista a Sartori per questi pensieri, se non fosse che cadremmo nuovamente in quella semplificazione di maniera che tanto credeva di avvantaggiarsene una certa intellettualità di sinistra.
Alla fine, poi, la risposta è stata semplice e semplificata ma efficace. Di fronte al quotidiano, qualunque siano gli scopi del neoumanitarismo perbenista, qualcuno ha ben pensato di mettere da parte la qualità e di spostarsi sulla pancia degli italiani. Se l’obiettivo era di poter far sopravvivere una parte politica ricostruendo un neoproletariato che superasse in prospettiva quello operario -ormai senza vitalità e sempre meno fidelizzatosi alla borghesizzazione di una sinistra post-ideologica - la risposta è stata evidente. Un “no” molto netto espresso il 4 marzo. Un “no” che ha ridotto ogni tentativo di ricollocare la sinistra in un quadro sostenibile di rinascita dal momento che essa si è privata nella storia di una sua possibile identità: quella di ancorarsi al pensiero socialdemocratico occidentale.
Oggi riformismo e liberismo hanno poso senso. Il cittadino, che ragiona con metri poco sofisticati, chiede risposte che non siano il frutto di panegirici ideologici e che offrano riscontri concreti. Così, alla fine, al di là delle difficoltà economiche di un paese e di altre incertezze che ci avvolgono, la questione dei migranti offre lo scontro perfetto. Vediamone il perché, cercando di mettere un certo ordine andando oltre quel Salvini che han votato anche al Sud.
Un articolo pubblicato qualche giorno fa su un quotidiano attento a valutare l’operato di un governo che certamente non risponde ai desideri della testata, mirava a dimostrare, dati e cartina di distribuzione dei “rifugiati” (non ritenuti solo migranti), come e in che misura in fondo la migrazione verso l’Italia non sia una vera e propria tragedia numerica e che gli approcci ritenuti troppo rigidi dell’esecutivo non siano giustificati. Ora, senza snocciolare i dati nella loro fredda espressione numerica, credo che alcune considerazione di ordine generale andrebbero fatte. I dati, come sempre, andrebbero letti ed interpretati conoscendo il fenomeno, la storia e le storie e vivendo la realtà. Dunque, se guardassimo al dato francese esso è il risultato di un legame profondo con una lunga esperienza coloniale chiusasi nella sua manifestazione più eclatante con l’indipendenza d’Algeria, ma che sopravvive ancora oggi in quel legame con ciò che resta dei DOM-TOM e dei regimi africani compiacenti con Parigi.
La realtà tedesca, invece, soffre di un mancato approfondimento da anni. Ovvero, manca nella nostra memoria sia l’esperienza, seppur breve, dell’impero coloniale di Guglielmo II, che il ricordo delle relazioni costruite dalla Germania con molte nazioni del Medio Oriente e non solo. E’ vero che Berlino perse nel 1919 tutte le sue colonie a vantaggio di Francia, Regno Unito e Giappone. Ma è altrettanto vero che fu Berlino a preoccuparsi della modernizzazione dell’impero ottomano prima e durante la Grande Guerra, seppur per interessi strategici ben precisi. Ciò, però, permise alla Germania di costruire rapporti sopravvissuti nel tempo con turchi curdi e siriani. Pertanto, allora, perché meravigliarci del dato quantitativo tedesco? Semmai dovremmo valutare l’aspetto qualitativo dell’immigrazione in Germania dal momento che Berlino, in buona e concreta misura, preferisce "scegliere" i target migliori: qualcuno si ricorda dell’asilo concesso ai profughi siriani perché per la maggior parte laureati?
Il regno di sua Maestà britannica è l’espressione della multietnicità imperiale. Ex grande potenza sui mari e sui mercati, affidandosi a quanto rimane nel Commonwealth economico dei grandi fasti, di certo non può rinunciare alle relazioni storiche con il Medio Oriente. Un cantiere aperto da sempre, dalla BP e dai legami passati con i regimi iraniani pre-Khomeini o iracheni.
Per quanto riguarda le altre nazioni, ferma restando la scelta possibile sul riconoscimento dello status di "rifugiato" che ha un "preciso" significato giuridico, gli elementi di valutazione dovrebbero essere ben ancorati a leggi collaudate come in Nord Europa e, quindi, usare il termine "rifugiato" in modo omnicomprensivo è poco aderente al tema migranti. Sul piano concreto e quotidiano si tratta, quindi, di invitare le anime buone che non vivono le periferie delle città, ma che si confrontano con realtà minori più facili perché alla portata di una elemosina di circostanza a guardare in profondità e andando oltre le apparenze.
Ma non solo. Ad esempio, sarebbe anche interessante navigare sui siti delle università africane, soprattutto del Nord Africa. Il webnauta potrebbe rendersi conto dell'ottima offerta formativa che viene proposta. Ciò significa che rimarrebbe il dubbio che al di là di casi di rifugiati politici dimostrati e verificati, ad andarsene, guerre e non guerre, parrebbero non essere proprio i più volenterosi. Insomma, applicando il metro di misura del cum grano salis latino, sembra che non si tratti solo di dividere tra razzisti o buonisti. In fondo, la verità è sempre drammaticamente ed emblematicamente la stessa: abbiamo trasformato un fenomeno da governare, e seriamente, in un cavallo politico e basta, con i danni che ne deriveranno.
Non sarà, così, un felice isolamento ad aiutarci quando i fondi per mantenere ragazzi in cerca di fortuna, e le associazioni che oggi gestiscono le loro vite, non ci saranno più. A quel punto sarà interessante vedere come e in che misura chi oggi critica scelte e regole di un esecutivo sovrano, e votato, intenderà risolvere il futuro di questi ospiti magari a discapito del futuro dei propri amati e coccolati figli. D’altra parte, se si approfondisse la storia africana e non solo dei paesi islamici del Nord, l'elemento tribale è dominante ancora oggi. Ciò significa che culturalmente l’Occidente coloniale ha perso ieri e perde oggi, subendone l’iniziativa di chi lo ricerca come spiaggia di approdo per riscattare un proprio futuro al quale ha rinunciato nella terra natia.
Se alcuni esponenti di una residua idea di partito di classe - molto avvezzo oggi ai fascini della borghesia elegante e umanitaria - avessero l’indipendenza intellettuale di approfondire il valore della vita si renderebbero conto che per certe culture il valore della vita non ha pari pregnanza come nelle nostre esperienze storiche e politiche, ma si rifà ad una visione di opportunità slegata da ogni considerazione della cultura altrui. Insomma, cadere nell’ipocrisia ideologica, piuttosto che impegnarsi nel definire i distinguo per premiare coloro che sono i veri rifugiati e tutelare un’idea di nazione, purché condivisa nei valori, sembra essere una operazione molto più facile. Ma in verità si dovrebbe eccepire allora che nulla c’entri il buon senso con lo stesso pietismo che se non regolati da un’idea del fare rischia di fare vittime quanto l’intolleranza senza ragione. Questo modo di agire, di pensare, di relegare la politica al muro contro muro non è certo una manifestazione di maturità. Rappresenta solo e soltanto un ennesimo gioco politico delle parti al quale si sacrificano le aspettative future dei nostri figli e di quegli ospiti che meritano, per valore e per valori. Aspettative che si legittimano nel rispetto dei nostri padri e di una libertà e di un amore verso il prossimo, conquistato anche drammaticamente, che non vogliono essere vittime di una gratuità di offesa o di dileggio, se non di possesso, di annichilimento se non proprio di negazione della nostra storia.
Eppure sembra che la lezione non sia bastata. L’attenzione ancora una volta è posta sull’argomento dei migranti. Dei migranti, attenzione, e non delle migrazioni. Un po’ perché sembra essere l’argomento verso il quale si può dirottare ciò che rimane di un umanitarismo benpensante e molto chic nelle parole, meno nei fatti. Un po’ perché, in fondo, su tale argomento si sono misurate vittorie e sconfitte recenti e il cui significato stenta ancora una volta ad essere ben compreso. Sorvolo sulle valutazioni della qualità e della profondità di comprensione dei fatti sociali della classe politica che l’Italia esprime nel suo arco costituzionale da decenni.
Ci aveva già pensato Sartori e non credo che vi siano altre parole per sostituire quelle di un attento politologo come l’insigne professore allorquando affermò, circa il rapporto tra Occidente e mondo islamico, che […] …l’'unico modo di risolvere i problemi è di conoscerli, di sapere che ci sono. Il semplicismo li cancella e così li aggrava…[…]. Oppure nel suo dire che […]…non mi importa nulla di destra e sinistra, a me importa il buonsenso. Io parlo per esperienza delle cose, perché studio questi argomenti da tanti anni, perché provo a capire i meccanismi politici, etici e economici che regolano i rapporti tra Islam e Europa, per proporre soluzioni al disastro in cui ci siamo cacciati…[…]. Oggi si potrebbe quasi dare del leghista a Sartori per questi pensieri, se non fosse che cadremmo nuovamente in quella semplificazione di maniera che tanto credeva di avvantaggiarsene una certa intellettualità di sinistra.
Alla fine, poi, la risposta è stata semplice e semplificata ma efficace. Di fronte al quotidiano, qualunque siano gli scopi del neoumanitarismo perbenista, qualcuno ha ben pensato di mettere da parte la qualità e di spostarsi sulla pancia degli italiani. Se l’obiettivo era di poter far sopravvivere una parte politica ricostruendo un neoproletariato che superasse in prospettiva quello operario -ormai senza vitalità e sempre meno fidelizzatosi alla borghesizzazione di una sinistra post-ideologica - la risposta è stata evidente. Un “no” molto netto espresso il 4 marzo. Un “no” che ha ridotto ogni tentativo di ricollocare la sinistra in un quadro sostenibile di rinascita dal momento che essa si è privata nella storia di una sua possibile identità: quella di ancorarsi al pensiero socialdemocratico occidentale.
Oggi riformismo e liberismo hanno poso senso. Il cittadino, che ragiona con metri poco sofisticati, chiede risposte che non siano il frutto di panegirici ideologici e che offrano riscontri concreti. Così, alla fine, al di là delle difficoltà economiche di un paese e di altre incertezze che ci avvolgono, la questione dei migranti offre lo scontro perfetto. Vediamone il perché, cercando di mettere un certo ordine andando oltre quel Salvini che han votato anche al Sud.
Un articolo pubblicato qualche giorno fa su un quotidiano attento a valutare l’operato di un governo che certamente non risponde ai desideri della testata, mirava a dimostrare, dati e cartina di distribuzione dei “rifugiati” (non ritenuti solo migranti), come e in che misura in fondo la migrazione verso l’Italia non sia una vera e propria tragedia numerica e che gli approcci ritenuti troppo rigidi dell’esecutivo non siano giustificati. Ora, senza snocciolare i dati nella loro fredda espressione numerica, credo che alcune considerazione di ordine generale andrebbero fatte. I dati, come sempre, andrebbero letti ed interpretati conoscendo il fenomeno, la storia e le storie e vivendo la realtà. Dunque, se guardassimo al dato francese esso è il risultato di un legame profondo con una lunga esperienza coloniale chiusasi nella sua manifestazione più eclatante con l’indipendenza d’Algeria, ma che sopravvive ancora oggi in quel legame con ciò che resta dei DOM-TOM e dei regimi africani compiacenti con Parigi.
La realtà tedesca, invece, soffre di un mancato approfondimento da anni. Ovvero, manca nella nostra memoria sia l’esperienza, seppur breve, dell’impero coloniale di Guglielmo II, che il ricordo delle relazioni costruite dalla Germania con molte nazioni del Medio Oriente e non solo. E’ vero che Berlino perse nel 1919 tutte le sue colonie a vantaggio di Francia, Regno Unito e Giappone. Ma è altrettanto vero che fu Berlino a preoccuparsi della modernizzazione dell’impero ottomano prima e durante la Grande Guerra, seppur per interessi strategici ben precisi. Ciò, però, permise alla Germania di costruire rapporti sopravvissuti nel tempo con turchi curdi e siriani. Pertanto, allora, perché meravigliarci del dato quantitativo tedesco? Semmai dovremmo valutare l’aspetto qualitativo dell’immigrazione in Germania dal momento che Berlino, in buona e concreta misura, preferisce "scegliere" i target migliori: qualcuno si ricorda dell’asilo concesso ai profughi siriani perché per la maggior parte laureati?
Il regno di sua Maestà britannica è l’espressione della multietnicità imperiale. Ex grande potenza sui mari e sui mercati, affidandosi a quanto rimane nel Commonwealth economico dei grandi fasti, di certo non può rinunciare alle relazioni storiche con il Medio Oriente. Un cantiere aperto da sempre, dalla BP e dai legami passati con i regimi iraniani pre-Khomeini o iracheni.
Per quanto riguarda le altre nazioni, ferma restando la scelta possibile sul riconoscimento dello status di "rifugiato" che ha un "preciso" significato giuridico, gli elementi di valutazione dovrebbero essere ben ancorati a leggi collaudate come in Nord Europa e, quindi, usare il termine "rifugiato" in modo omnicomprensivo è poco aderente al tema migranti. Sul piano concreto e quotidiano si tratta, quindi, di invitare le anime buone che non vivono le periferie delle città, ma che si confrontano con realtà minori più facili perché alla portata di una elemosina di circostanza a guardare in profondità e andando oltre le apparenze.
Ma non solo. Ad esempio, sarebbe anche interessante navigare sui siti delle università africane, soprattutto del Nord Africa. Il webnauta potrebbe rendersi conto dell'ottima offerta formativa che viene proposta. Ciò significa che rimarrebbe il dubbio che al di là di casi di rifugiati politici dimostrati e verificati, ad andarsene, guerre e non guerre, parrebbero non essere proprio i più volenterosi. Insomma, applicando il metro di misura del cum grano salis latino, sembra che non si tratti solo di dividere tra razzisti o buonisti. In fondo, la verità è sempre drammaticamente ed emblematicamente la stessa: abbiamo trasformato un fenomeno da governare, e seriamente, in un cavallo politico e basta, con i danni che ne deriveranno.
Non sarà, così, un felice isolamento ad aiutarci quando i fondi per mantenere ragazzi in cerca di fortuna, e le associazioni che oggi gestiscono le loro vite, non ci saranno più. A quel punto sarà interessante vedere come e in che misura chi oggi critica scelte e regole di un esecutivo sovrano, e votato, intenderà risolvere il futuro di questi ospiti magari a discapito del futuro dei propri amati e coccolati figli. D’altra parte, se si approfondisse la storia africana e non solo dei paesi islamici del Nord, l'elemento tribale è dominante ancora oggi. Ciò significa che culturalmente l’Occidente coloniale ha perso ieri e perde oggi, subendone l’iniziativa di chi lo ricerca come spiaggia di approdo per riscattare un proprio futuro al quale ha rinunciato nella terra natia.
Se alcuni esponenti di una residua idea di partito di classe - molto avvezzo oggi ai fascini della borghesia elegante e umanitaria - avessero l’indipendenza intellettuale di approfondire il valore della vita si renderebbero conto che per certe culture il valore della vita non ha pari pregnanza come nelle nostre esperienze storiche e politiche, ma si rifà ad una visione di opportunità slegata da ogni considerazione della cultura altrui. Insomma, cadere nell’ipocrisia ideologica, piuttosto che impegnarsi nel definire i distinguo per premiare coloro che sono i veri rifugiati e tutelare un’idea di nazione, purché condivisa nei valori, sembra essere una operazione molto più facile. Ma in verità si dovrebbe eccepire allora che nulla c’entri il buon senso con lo stesso pietismo che se non regolati da un’idea del fare rischia di fare vittime quanto l’intolleranza senza ragione. Questo modo di agire, di pensare, di relegare la politica al muro contro muro non è certo una manifestazione di maturità. Rappresenta solo e soltanto un ennesimo gioco politico delle parti al quale si sacrificano le aspettative future dei nostri figli e di quegli ospiti che meritano, per valore e per valori. Aspettative che si legittimano nel rispetto dei nostri padri e di una libertà e di un amore verso il prossimo, conquistato anche drammaticamente, che non vogliono essere vittime di una gratuità di offesa o di dileggio, se non di possesso, di annichilimento se non proprio di negazione della nostra storia.