Credo che non vi siano molti esempi nella storia delle regioni italiane che oggi possano raggiungere il vero primato della Calabria. Tra ambasciatori e eroi del momento probabilmente le possibilità di salvezza di questa terra non sono mai state così vicine, forse così concrete, di certo magari così possibili.
Di certo vi è, però, che le ragioni di un riscatto giocato sul conto di terzi non sono sempre un buon motivo di orgoglio. Spesso hanno solo il sapore di un gioco di rimessa con il pallone affidato ad altri nella speranza che le vetrine di cui questi dispongono possano, in qualche modo, accreditare una terra, i suoi caratteri, le sue bellezze e, perché no? - anche la classe politica. In un momento così fervido per la Calabria di presunte intellettualità e di altrettanto presunti valori senza confini e senza autorità riconosciuta, presa e protesa verso la conquista di un’autorevolezza costruita tra l’impresa cinematografica su San Luca di Saviano e i Topi di Albanese - o con le vicende di un modello di accoglienza che si pone in discussione anzitutto con se stesso - sembra che nuovi soli sono pronti a sorgere all’orizzonte delle prossime regionali.
Ma di quale luce potranno mai illuminare la Calabria questo non si conosce, anche se lo slancio vitale verso la conquista delle anime sembra ormai molto solido. D’altra parte, se così fosse, si potrà sempre ricorrere agli Ambasciatori della Calabria – “nominati” di recente dalla regione - ai quali magari affidare la promozione delle eccellenze della nostra terra, ma probabilmente non saprebbero da dove iniziare. Forse dalla sanità o dai trasporti? O magari dalla capacità di questa terra di trattenere i suoi figli migliori offrendogli un futuro aumentando le opportunità formative e offrendo occupazione secondo collaudati progetti e programmi di crescita? Ma Ambasciatori della Calabria o meno, non si sa verso chi, per che cosa e in che termini, si faranno carico di promuovere un’immagine che dovrebbe archiviare quella del prodotto tipico, sul quale si sono imbandite tavole e fiere, o del prodotto criminale, utile a riempire ogni contenitore mediatico all’occorrenza.
Ciononostante, altri eroi si affacceranno alla finestra della storia pronti a sacrificarsi contro l’inerzia politica di sempre, magari con altre gesta su cui far scrivere di sé. E se così sarà, perché rinunciare allora ad uno strumento, l’eroismo, così efficace per spostare l’attenzione della gente da un quotidiano che non si vuol riconoscere? Così, se anche questo non dovesse bastare, si può fare ricorso alle idee di eroi postrivoluzionari di rivoluzioni che, in terra di Calabria, non vi sono mai state ma che sono figli senza pace di un’idea di meridionalismo stantia, senza più alcun appeal dovuto all’assenza di originalità di argomenti propri delle litanie di altri tempi. Bertolt Brecht, in una frase molto abusata per la sua disarmante verità nella Vita di Galileo scriveva […] sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi …[…] a cui fa eco, però, la riflessione del figlio della governante, Andrea Sarti, per il quale è […] …sventurata la terra che non produce eroi…[…].
Probabilmente credo, a questo punto, e collocandoci a metà strada tra un Maestro ed un Apprendista, che potremmo non farci mancare nulla. Potremmo credere che la normalità di un quotidiano fatto di servizi che funzionano, un ambiente curato, un ordine civile garantito rappresentino, qualora fossero certezze, un buon motivo per abbandonare la frase di Brecht. E, altrettanto, se ci sentissimo persi avremmo sempre la possibilità di nascondere le nostre inefficienze spostando la responsabilità su altri e aspettando che un nuovo eroe ci riscatti. Ma, volendo essere fermi su un pensiero non certo conservatore, per non usare un altro termine, vorrei ricordare quanto scritto da Marco Revelli su un quotidiano come Repubblica il 12 dicembre 2013 nell’articolo Gli eroi e la nostra cattiva coscienza. Per l’Autore, […] a ben guardare, pressoché tutti gli “eroi civili” della nostra storia repubblicana sono morti in solitudine. Anzi, sono morti di solitudine. Ed è questa la ragione per cui la “figura eroica” dovrebbe, presso di noi che ci portiamo addosso questo peso, più che stucchevoli esercizi di retorica, sollecitare penosi esami di coscienza…[…].
Insomma, per essere chiari, che si tratti di ambasciatori, senza feluca, o di eroi, senza medaglie, alla fine essi saranno solo funzionali al sistema che tali li ha voluti o creati. Funzionali ad essere l’ennesimo utile specchio realizzato da chi vorrebbe continuare a dominare la scena politica per impedire al senso comune, qualora fosse caratterizzato da buon …senso, di guardare ben al di là dell’immagine che vi viene riflessa.