Ai muri di pietra venivano alzati, ad ogni passo in avanti, muri di gomma. Meno duri, ma più flessibili e direzionabili secondo gli egoismi degli uni o degli altri membri dell’Unione o, altrettanto, secondo le intemperanze politiche di un pensiero omologante che avrebbe dovuto passare al di sopra dei popoli, magari ripristinare una sorta di nuova ideocrazia possibile come se la tecnocrazia dell’euro non sarebbe stata più che sufficiente. Il vero dramma che si compie in Europa, e che si consuma nella Visegrád italiana fatta da partiti che riesumano il loro appeal ideologico e leader a caccia di consensi - magari credendo di essere i nuovi passionari e uomini della Provvidenza - è che in fondo a far dissolvere ogni garanzia di identità, quanto ogni giusto sentimento di tolleranza e confronto, sono proprio coloro che si trincerano in posizioni radicali.
Alcuni non riconoscendo il valore della propria identità partecipandola all’ospite; altri andando ben oltre un sentimento di comunità cercando di fare della diversità uno strumento piuttosto che un’occasione di vera e sincera crescita nel rispetto delle tradizioni e degli ordinamenti dello Stato. In questa guerra tra poveri, si fa per dire, eurodelusi, euroscettici e euro-omologatori, nessuna soluzione adeguata sembra affacciarsi all’orizzonte. Vi è solo una mortificante, rinnovata, tendenza al protagonismo e alla personalizzazione che alla fine nega ogni significato al termine comunità: europea, nazionale, regionale e comunale. Visegrád, da tanto lontano, dimostra che è già difficile mettere assieme esperienze storiche europee che, in qualche modo, hanno legami comuni. Così come le vicende del piccolo comune dei Bronzi dimostrano quanto il non aver avuto idee chiare sul come governare le politiche migratorie da Bruxelles sino al breve entroterra jonico reggino alla fine ha trascinato tutti, popolazioni e migranti, su un terreno scivoloso e di difficile composizione se è il risultato complessivo ciò che ci interessa individuare piuttosto che l’emergere di nuove leadership.
D’altra parte, quando una politica è così cieca e senza memoria si ottiene il riemergere di rigurgiti "sovranisti" altrettanto miopi quanto quelli populisti o “omologazionisti”. Ed è allora che una sola riflessione rimane da fare. Che in assenza di una proposta politica consapevole ed interprete della storia e delle realtà nazionali forse alcuni, ma non sono pochi in verità, politici dovrebbero evitare di cercare modi, mezzi ed argomenti per distinguersi ad ogni costo, godendo di privilegiati spazi televisivi o pagine offerte dai giornali. Forse dovremmo evitare di credere che non servono agitatori di masse o urlatori mediatici. Probabilmente basterebbe anzitutto guardare che cosa chiedono le nostre popolazioni, le nostra gente, in Europa, in Italia, in Calabria e nella stessa locride per capire che l’ospitalità e, soprattutto, la qualità dell’ospitalità dipende anche dalla qualità della vita, dei servizi, delle opportunità di crescita delle nostre comunità locali. Un esame a cui invito sia i promotori dell’accoglienza senza riserve, e sia coloro che del Sud alla fine se ne dimenticano ad urne chiuse.