E’ sempre molto interessante aprire portali e webzine che raccontano la Calabria e la locride. In questo spazio che rende evanescente la fisicità, ma ritiene di poter diffondere le idee in un ambiente aperto, si possono scoprire molte cose e, in fondo, non sempre così scontate come sembra. Inoltre, ciò che domina in questo giornalismo autoprodotto è il favorire una partecipazione diffusa che in qualche modo ci invita a riflettere senza andare più lontano dei pochi centimetri che ci separano dal nostro smartphone. Ebbene, giocando con i tasti, in questa ultima settimana ho trovato due notizie interessanti, per gli argomenti e per le parole usate. La prima non poteva che essere l’incontro tra il Comitato dei Sindaci della locride con il Commissario per la sanità. La seconda, la questione di un possibile Nobel per la pace. Andiamo per ordine.
La prima, quella sull’incontro relativo alla sanità. Leggendo dell’incontro mi ha colpito soprattutto l’incipit rappresentato dal “Moderato ottimismo” espresso dal Comitato dei sindaci. Ora guardando alla realtà calabrese dell’offerta sanitaria e, in particolare, senza andare sul piano qualitativo – su cui si potrebbero aprire diverse finestre – restando solo su quello organizzativo credo che il moderato ottimismo, poiché non lo si evince in termini articolati, così sottolineato si riferisca alla presentazione di un piano sanitario che ridistribuisca in termini di efficienza, oltre che di qualità, i servizi sanitari sul territorio. Credo, e vorrei sperare, che il moderato ottimismo nasca dalla presentazione di un progetto che dimostri chiarezza di idee e non sia solo il frutto dei soliti buoni propositi apparecchiati da sempre nelle tavole, poco rotonde in verità, che si sono organizzate in tutti questi anni senza modificare praticamente nulla.
Anche perché, non me ne vogliano i puristi della lingua italiana, un moderato ottimismo potrebbe essere tale se sottende una sorta di fiducia verso le reali capacità di gestire e mettere in campo risorse tali da offrire una sanità diversa. Una sanità, o garantire un diritto alla salute, questa volta frutto non solo di un senso di responsabilità, ma di competenze e di conoscenze reali e misurabili nei risultati, non celebrate ma, come la legalità, praticate. D’altra parte se ci si ferma ancora oggi ad un semplice moderato ottimismo - ovvero ad una sorta di aspettativa contenuta all’interno di un limite parziale posto per opportunità politica o per semplice prudenza - probabilmente qualcuno potrebbe ritenere, forse senza allontanarsi dal vero, che nonostante il moderato ottimismo si è ancora lontani dal constatare l’esistenza di idee concrete. Idee queste ultime che, se esistenti e presentate, dovrebbero far superare un moderatismo poco funzionale a quel senso di emergenza che al contrario domina imperturbato da tempo.
E adesso andiamo alla seconda notizia: quella del Nobel per la pace possibile, auspicabile, deciso, proposto ecc… per un comune o forse per il suo sindaco, ma poco importa. Ora non sta a chi scrive sottolineare quanto e in che misura i premi Nobel per la pace siano stati spesso strumentali a forme politicamente corrette per far accreditare nell’opinione pubblica pensieri dominanti poi sconfessati dalla realtà. E, ovviamente, non si trattava di personalità di secondo piano. Potremmo citare un più recente Obama, un Nobel per la pace per una presidenza costantemente in guerra in più parti del mondo; o ai precedenti Nobel di Arafat e di Rabin a ridosso di una tragedia, quella del popolo palestinese, non ancora risolta.
Insomma, tra tutti questi esempi, si potrebbe anche pensare ad un Nobel per la pace calabrese per l’accoglienza e per l’integrazione se avessimo, quantomeno, chiare le idee su che significato attribuire a tali termini soprattutto riconoscendo, in totale onestà intellettuale, se e in che misura possa esistere una integrazione di serie A dalla quale sono esclusi buona parte dei calabresi che emigrano - come sottolinea l’autore di una puntuale lettera indirizzata ad un sindaco e rilanciata da un giornale online della locride - rispetto ad una integrazione di serie B, in una terra che vorrebbe accogliere da un lato e costringe alla fuga i propri figli dall’altro. Nobel o non Nobel, insomma, credo sia molto complesso discutere di come e in che termini questo modello di integrazione e di servizi possa giungere a Stoccolma al di là della riserva rappresentata dal tutto è possibile.
In fondo, il modello è offerto da una terra che chiude un occhio su baraccopoli esistenti da tempo ricordandosene solo all’ennesima rissa o all’ennesimo reato da sfruttamento. Una terra che non sembra avere eguali, almeno in Europa, nella capacità di disintegrare se stessa, pauperizzando le proprie risorse e pretendendo di dimostrarsi leader nell’integrazione, ma che poi nell’ordinario della vita non fa ciò che dovrebbe: tutelare i propri figli e, in tal senso, accettarne altri a pari condizioni di opportunità. Credo che per valutare la concessione di un Nobel per la pace forse si dovrebbe partire dal come e in che misura esista anzitutto una pace sociale fondata non sulla fuga e lo spopolamento dei comuni, ma sul piacere di viverci. Probabilmente un concetto che non ha senso se l’idea si risolve in provocazione per far si che essa si trasformi in un prodotto utile per una tra le tante corse politiche. Un pensiero di ospitalità presunta che alla fine sacrifica due umanità: quella dei cittadini calabresi costretti, ancora oggi, ad andare via, e quella di coloro il cui dramma offre simili opportunità.