C’è una nota pubblicità che ha attirato la nostra attenzione per mesi. Carina, se non divertente nel suo presentarsi anche senza essere pretenziosa nei contenuti. A volte, siamo quasi sicuri che essere in due sia meglio di essere soli, come siamo convinti che disporre o soddisfare al plurale i nostri bisogni o piaceri possa dare gratifiche di un certo valore.
Tuttavia, non credo che questo sia sempre valido. Se dovessimo trasferire una tale osservazione al mondo della politica e del nostro quotidiano dovremmo osservare che esistono sicuramente due Italie come, altrettanto, vi sono due Calabrie. Due realtà non sempre coincidenti, ma sempre più spesso distanti. Due realtà che suggellano una sorta di matrix senza numeri, dove i campi presentano due esperienze politico-amministrative non più coincidenti, ma che si sovrappongono nel tentativo di dimostrarsi sintesi dell’una o dell’altra.
Se guardiamo all’Italia di certo non sarà sfuggito quanto e in che misura il disincanto verso la politica e verso ciò che ad essa si può ricondurre, sia un fatto. Come è un fatto, viceversa, il completo sganciamento dal quotidiano di chi pretende di gestirlo. Non vi è un interesse che non vada oltre il gossip o le false promesse di chi ritiene di poter decidere senza sentirsi partecipe. Le stesse recite sui palcoscenici parlamentari, consiliari o nelle diverse aule televisive approntate per l’occasione, sono la rappresentazione di una virtualità senza anima a cui si aggiunge un’umanità digitalizzata.
Una realtà virtuale nella quale non vi è possibilità per i cittadini di toccare con mano nulla, il cui risultato è quello di tenerli occupati ad ascoltare happening o le solite promesse che non andranno mai oltre la curiosità del nulla. Una curiosità, che ci fa approdare alla conclusione che vi sia una realtà virtuale nella quale ogni comparsa diventa ologramma di se stessa, se non di un gruppo elettorale le cui percentuali evaporano subito dopo aver ricevuto un consenso di circostanza, se non di pancia. Esiste, per farla breve, un’Italia reale e un’Italia poco reale.
Un’Italia del quotidiano fatto di conti e di inefficienze con servizi che languono, e un’Italia politica, che guarda a se stessa e che fa dell’autoreferenzialità, magari urlata negli slogan pseudopopulisti, una strategia da consenso che si disperde, poi, nel vuoto quasi pneumatico delle menti. Un’Italia dove anche i numeri, nella loro tragicità a volte, perdono quel valore obiettivo perché piegati a interpretazioni diverse, funzionali a dettare o giustificare una linea politica piuttosto che dipingere una realtà di fatto sulla quale intervenire solo per buon senso.
Esiste, così, una regione che non è diversa dal Paese. Ne è solo, è vero, una periferia. Essa dimostra, a suo modo però, quanto e come ha ereditato pienamente stili di governance che si sono affermati nella costruzione di una classe politica sempre meno legata alle esigenze del cittadino, molto neobaronale nel suo schema. E, come il Paese, esiste quindi una Calabria politica ed una Calabria reale. Quella politica è la regione della straordinarietà, dell’emergenzialità sempre e comunque legata al mantra del mancato sviluppo o delle inefficienze per colpa altrui. Una regione virtuale, dove il quotidiano non trova spazio se non laddove deve dimostrare, nel suo essere e vivere marginalmente, le tesi di sempre mentre l’ordinarietà della vita politica con i suoi riti e le sue controfigure recitano in un teatro collaudato.
Esiste poi la regione del giorno per giorno. Quella del confronto con il diritto alla salute, alle cure, alla dignità del malato. Quella dei servizi e del sostegno, della mobilità e del lavoro, del rispetto dell’ambiente e della tutela delle proprie tradizioni. Quella delle aspettative disattese, che si affidano alla nuova panacea di un reddito assistito, tratto di congiunzione tra due matrici che dialogano solo nella funzionalità dell’opportunismo. Di certo non prodotto dell’identificazione di un vissuto, cioè di un vivere inteso come manifestazione dell’essere per il cittadino e rappresentazione e tutela per il politico. In questa duplice virtualità di mondi che non rispondono alla teoria dei vasi comunicanti, ognuno di questi galleggia come può ma alla fine, nella realtà del quotidiano misurabile, entrambi affondano lentamente ogni giorno che passa.