Bisogna dire che nel leggere quotidianamente le prime pagine di giornali o pagine web non mancano notizie interessanti che non siano le solite condite dal sapore di noir che ci contraddistinguono. D’altra parte, ben pochi si sono cimentati per fare della Calabria un soggetto letterario alla Nero Wolfe fermandosi al ben più vendibile trash del crimine diffuso, quasi una sorta di Dna riconoscibile e, quindi, più appagante che costruire modelli da cinema o da romanzo elegante. Ovvero, per farla breve, nessuna Jessica Fletcher si sognerebbe di trascorrere delle vacanze in Calabria per scrivere un suo giallo, né una Agatha Cristhie avrebbe affidato ad un seppur solerte Poirot un’indagine tra gli ulivi.
Ma, lasciando per strada il nero calabrese, andiamo a vedere altro. Nell’articolo della scorsa settimana mi sono soffermato sul concetto di essere ultimi. Direi che, visto le notizie che si accavallano ogni giorno, vi sarebbe un seguito che credo di dover completare. Ora, essere ultimi certo non piace a nessuno se non a chi vede in tale condizione una necessità o un’opportunità evangelica di conquista del Paradiso. Tuttavia, negli affari terreni, e calabresi, le posizioni, conquistate, attribuite, vere o presunte che siano, hanno un significato e una loro giustificazione. E, questo, dal momento che per primi siamo proprio noi alla ricerca di una classifica possibile cercando di affermare, spesso sull’onda di un erroneo senso di riscatto, un sentimento di orgoglio
Una reazione alla frustrazione che ci attanaglia al di là di ogni apparente sussulto di amor proprio che contraddistingue difese di presunte eccellenze che non hanno peso e non fanno la differenza. E diventa difficile anche affidarsi alla genersosità del Creatore, ultima tra le “belle” notizie, per pensare che l’avere il clima migliore possa essere un aspetto sul quale definire la qualità della nostra vita magari in termini di servizi o, soprattutto, di tutela ambientale considerato quanto e in che misura la sensibilità verso l’ambiente viene dimostrata ogni giorno
Non credo che ci siano ragioni per dover stimolare ciò che non lo è: una chiara e consapevole presa di coscienza della nostra superficialità. Eccellenze, qualità, spiagge sono state, leggo, considerate ottime per i bambini secondo stime e parametri che possono essere ragionevoli non è detto che, al contrario, non siano altrettanto realisticamente discutibili perchè si scontrano con una realtà che nessuna bandiera può nascondere. Qualche parco giochi in prossimità del mare o le gelaterie più o meno a portata di mano sono ben poca cosa per aumentare la qualità dell’offerta, o definire un quadro di sicurezza dovendo fare i conti con la reale assenza di servizi a supporto dei più piccoli in un territorio dove anche gli adulti, ed anziani, stentano ad avere fiducia in ciò che gli viene proposto.
E’ l’assenza di strutture piccole o grandi per accudire i bambini in età pediatrica, o semplicemente la presnza di fonti di pericolo, tra ringhiere ormai consunte dalla ruggine e dalla salsendine – e non diamo la colpa alle mareggiate perché lo erano così anche prima - o le pavimentazioni sconnesse o altro, che fanno la differenza. Precarietà palpabili e calpestabili, a cui si dovrebbero aggiungere dei servizi sanitari d’emergenza dedicati ai piccoli che stentano ad alzare la mano per dire che sono presenti. Non è sufficiente avere spiagge belle, larghe, sabbiose o un mare pulito, quando lo è.
Definire fruibile e individuare l’utente non è cosa semplice, non è data solo dalla condizione di avere a portata di mano qualche negozio per bimbi per attrarre coloro che conosco e bene spiagge, gelaterie e giochi diffusi in giro per l’Italia. Dove, per carità, se la spiaggia o il mare poco limpido non ne fanno la differenza certo è la superiorità, se non l’efficienza e la qualità, di tutti quei servizi collaterali che si pongono in vista che conquistano il primato di presenze ogni anno. Ma non è solo questo.
Credo che alla fine sia una questione di metodo e di ragionevolezza. Promuovere e credere di esporre un riconoscimento come simbolo del riscatto potrebbe anche essere compreso e tollerato. Ma non guardare alla realtà delle cose, non abbassare lo sguardo sul terreno nel quale ci muoviamo, non vivere ciò che ci circonda con l’umiltà della consapevolezza che siamo ancorati ad una percezione troppo limitata ad un punto di vista personale piuttosto che generale, ciò non è certo prova di conoscenza.
Credere nei sogni e farli diventare realtà, insomma è un buon esercizio per sperare in un futuro migliore e per dare una ragione alla propria esistenza o al proprio vivere. Ma pubblicare libri dei sogni ogni giorno, scrivere di eccellenze su eccellenze di cui molte presunte, pensando che qualcuno li possa leggere e crederci, se non scritti con umile consapevolezza è un’altra cosa. Saranno libri dei sogni scritti male e, per quanto si tratti di sogni, fuorvianti e pericolosi nei loro effetti. Perché una cosa è sognare, esercizio onesto e bello che annida in se la speranza che si possa realizzare. Un’altra cosa è illudere.