Nel 1966 I Dik Dik proposero un brano dal titolo Sognando California. Nulla di originale. Una sorta di cover, diremmo oggi, che riprendeva un mantra del tempo scritto a ridosso della guerra del Vietnam di cui i Mamas & The Papas, nome emblematico di per sé, ricalcavano la via di un sogno americano in California Dreamin'.
Probabilmente l’Italia presessantottina cercava di realizzare un proprio sogno e, quindi, nulla di meglio che ancorarsi al mito altrui in salsa a stelle e strisce guardando alla California come una sorta di Terra Promessa del cosiddetto mondo libero. Nell’immaginario collettivo, diciamocelo pure, la California rappresenta, vero o parzialmente tale, l’immagine del successo e della produttività di una terra che si affaccia sul Pacifico dove alla imperitura industrializzaione della Silicon Valley e di altre realtà aziendali, si unisce una particolare vocazione all’offerta turistica e del tempo libero. Una condizione che, al di là delle crisi che lambiscono tale Stato dell’Unione, la rende quasi un termine di paragone.
Ebbene, in questa necessità di doversi ispirare ad altrui successi, ancora una volta leggo dovunque che il Sud, e la Calabria, così come sento dire da decenni, potrebbe (o dovrebbe?) essere la California d’Italia. Per carità, nulla di male a voler eguagliare altre esperienze e storie se lo spirito emulativo lo interpretassimo come una virtù. Tuttavia, se così fosse, dovremmo altrettanto considerare che la virtù non è data dal ripetersi di cose già dette, come il ricordarci che potremmo vivere di turismo ad esempio; argomento, questo, che a furia di ricordarcelo ad ogni respiro diventa quasi noioso a parlarne. Bensì, dovremmo forse dotarci di una buona dose di umiltà nell’essere originali quantomeno proponendo qualcosa di nuovo, che dica le stesse cose magari, che eviti la solita retorica buttata la! Il Sud non è e non sarà la California d’Italia, e la Calabria tantomeno.
Conosciamo le patolgie che affliggono le nostre regioni e, soprattutto, pur conoscendone anche le cure, alla fine non le mettiamo in pratica. Ci accontentiamo dell’illusione che potremmo essere, ma andare oltre l’esserlo sul serio ci costerebbe fatica e qualche mea culpa che in realtà non siamo pronti, rispettivamente, a fare e ad ammettere. Eppure siamo convinti di avere delle potenzialità, di poter disporre di risorse ambientali e di capacità produttive tali da poter da sole rilanciare un’economia senza doversi affidare alla promozione di alcune eccellenze da vetrina, ma realizzando un’eccellenza diffusa per la quale ogni cittadino calabrese e meridionale dovrebbe essere protagonista e beneficiario.
I sostenitori del mito californiano, di tale “gemellaggio” virtuale e ipotetico, non considerano che turismo e tempo libero sono supportati, in California, da un’industria dell’ospitalità che può fare affidamento su una popolazione abbastanza ricca. Ma non solo. In realtà, solo il 4% del Pil californiano è dovuto all’economia turistica, mentre il resto si divide tra capacità di impresa, servizi e agicoltura. Se guardassimo con sincerità e onestà intellettuale alle nostre piccole località, alle nostre (mancate) politiche turistiche, alle (superficiali) capacità di gestione delle risorse naturali dovremmo ammettere che i termini di confronto sarebbero ben altri. Poco inclini a tutelarle, poco avvezzi alla progettazione di iniziative che possano promuovere un settore piuttosto che un altro, poche sinergie per fare sistema permettendo che il sogno diventi realtà.
Ecco allora che, a chi ci ricorderà anche questa estate che potremmo essere la California d’Italia, non ci resterà che suggerire loro che al massimo il sogno californiano era solo un brano dei Dik Dik e, neanche per loro, alla fine originale.