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Alexander Dubcek

Nord e Sud. Il solito inverno (per il Sud) dello sport

Nord e Sud. Il solito inverno (per il Sud) dello sportLa notizia del momento sembra essere una di quelle per le quali ci si gioca la credibilità di una nazione, del suo governo. L’evento olimpico, non v’è dubbio, di per sé rappresenta sicuramente una grande occasione di visibilità, anche se la versione “invernale” di fatto non assume i contorni - in termini di partecipazione e di appuntamenti e di appeal - di quella tradizionalmente estiva.
Tuttavia, non è il numero e la qualità delle gare che ne modifica i contenuti e l’interesse. Semmai è la polemica politica che si sta svolgendo nei dintorni che trascina con sé, su un piano completamente diverso, tutte le contraddizioni di una società che non riesce, anche nell’orgoglio olimpico, a superare le proprie diverse prospettive sacrificate al dominus del provincialismo partitico. Ma non solo. A ciò si accoda la delusione di chi, nella conquista delle Olimpiadi invernali vede l’affermarsi del solito Nord ritenendo che, magari nello specifico caso, ci fosse una vocazione “invernale” anche al Sud.
Ora, senza ricadere nel solito mantra campanilistico, si potrebbe capire che i giochi invernali potranno essere un’occasione di investimenti e di riqualificazione delle realtà turistiche che faranno da sfondo alle gare. Ma, siamo sinceri, per limite di scenario e per specificità delle gare non si tratta di un investimento ammortizzabile nel breve periodo neanche da parte di regioni considerate virtuose. Ciò significa che nella scelta non solo si guarda alle condizioni “climatiche” che garantiscono l’organizzazione delle competizioni, ma anche alla sostenibilità dell’impatto dello scenario olimpico invernale con località capaci di poterne assorbire lo sforzo economico e mantenerne nel tempo le strutture. Insomma, non vedo come, trattandosi di olimpiadi invernali, queste si potessero organizzare tra la Sila o le pendici dell’Etna al di là delle intenzioni, probabilmente buone, di partecipare alla fetta olimpica della distribuzione dei fondi e delle opere.
In verità, ciò che si percepisce è il rivivere una strumentalizzazione che vede ogni volta ripetersi la solita sindrome dell’escluso, messo da parte da chi guarda con interesse a tutto ciò che è sfida, successo senza preoccuparsi di chi langue ai margini. Certo, il Sud non può e non deve essere messo da parte dalle politiche sportive, anche se parlare alle nostre latitudini di simili politiche sembra quasi un azzardo. Tuttavia, uno sforzo olimpico potrebbe essere anche piacevolmente perseguito se prima o poi una o più città del Sud - proponendo un progetto credibile e sostenibile – si candidasse/candidassero ad assumersene l’onere consapevole/i di ben figurare. In ogni caso, e la vanità mediatica di ordinare gerarchicamente anche gli eventi sportivi sembra averlo messo da parte, ci dimentichiamo che a Napoli ci saranno le Universiadi.
Di certo un corollario rispetto allo sforzo olimpico così come possono esserlo i Giochi del Mediterraneo. Ma anche se questi appuntamenti sono considerati erroneamente figli di un Dio e di terre minori, di sicuro minori non lo sono se guardati con l’interesse di chi vede e cerca nell’esperienza sportiva un motivo per dimostrare capacità organizzative in futuro. Insomma, è vero che i grandi eventi che sono stati sperimentati negli ultimi anni, expo, olimpiadi invernali non hanno coinvolto minimamente il Sud. Ma è altrettanto vero che il Sud non si è dato un ruolo sportivo politicamente corretto ed economicamente sostenibile, dal momento che il Sud non ha una politica sportiva. D’altra parte - con buona pace degli ortodossi meridionalisti alla ricerca di qualcuno cui dare colpe che dovrebbero aver ormai segnato una noia da abitudine - dovremmo avere il buon gusto, ad esempio, di guardare a quanto (non) fatto e a quanto (non) offerto da regioni che con più di ottocento chilometri di costa non vantano eccellenze almeno nei soli sport acquatici; per non dire che non supportano neanche l’offerta turistica con animazioni o attività gestite ogni estate da abilità terze formate altrove.
Lo sport, alla fine, come tutte le attività umane, richiede idee, progetto e voglia di fare. Ecco, allora, che la vera risposta non è da ricercare in ciò che fanno gli altri, uno sport cui siamo molto allenati, ma è negli occhi dei ragazzi diseducati a fare dello sport un’occasione per crescere insieme e competere, facendo si che anche questa “cultura” contribuisca ad un riscatto che tutti vogliono e che in pochi ricerchino. La nostra olimpiade dura da molto tempo, ed è una corsa frenetica, al momento, alla pari dignità. Ma è una corsa a tratti, che non ha quello spirito giusto per animarla. Probabilmente dovremmo, parafrasando De Coubertin, avere in noi ben presente una sorta di coscienza olimpica in senso lato che cerchi di creare uno stile di vita basato sulla gioia dello sforzo, sul valore educativo del buon esempio e il rispetto universale dei principi etici fondamentali. Se tale spirito non diventa un valore nel quale riconoscerci, avremmo un bel dire guardando gli altri sopravanzarci ad ogni occasione e vederli raggiungere i propri traguardi.

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