Ci approssimiamo alla fine dell’anno. Manca solo il raggiungere il più celermente, e il più consumisticamente possibile il Natale per chiudere l’ennesima partita di un anno dal quale, come sempre, tutti ci attendevamo miracolose novità. E se si vuole, al di là delle taumaturgiche promesse qualche cambiamento c’è stato.
Ad esempio lo scivolone politico di un governo nato già politicamente ibrido dopo una consultazione elettorale guidata da un parossismo tipicamente latino a suon di slogan ed happening prodotti da piazze volubili. Una formula di maggioranza, la prima, ossessivo-compulsiva che ha finito per modificare la sua stessa alleanza innaturale, e con essa, l’idea stessa dell’unico partito senza macchia che è rimasto nella compagine governativa, ridisegnando una nuova maggioranza altrettanto imbarazzante proprio con coloro a cui avevano rimandato ogni possibile compromesso, prima e immediatamente dopo il 4 marzo del 2018. Ma si sa…quando è in gioco il bene del Paese, tutto è possibile.
Peccato che il Paese, ovvero l’Italia, sia di per sé ferma. Ingessata sulla necessità di consolidare un potere finalmente raggiunto per alcuni, permettendo a nuovi parlamentari di poter conquistare le vette del successo personale magari al prezzo di sacrificare ogni anelito di coerenza difficilmente difendibile, anche se si intende correre da soli in una regione. Una coerenza di per sé rimessa in tasca prima con la Lega (ex Nord) e poi con i democrat sopravvissuti a Renzi. In questo rush finale a salvare l’Italia e la Calabria ci si mette anche la Svimez con il suo rapporto che pontifica ogni anno, come un buon drammaturgo, ciò che in fondo è lo specchio di un’Italia che si svuota e con essa di una Calabria che va altrove, che guarda oltre il limite delle lotte politiche non comprendendo più chi le fa e per che cosa.
Infatti, sottolineare nel rapporto del 2018 che il divario tra Nord e Sud non è stato colmato ma, anzi, si manifesta con più significativa evidenza rappresenta la nuova non-novità per chi di statistica ha poco mestiere, ma che guarda con occhi del quotidiano i paesi che si svuotano, i propri figli partire consigliati da coloro che accettano di restare: i genitori. Ma economia in lento ma progressivo declino e più di due milioni di emigrati non contrassegnano solo il Mezzogiorno. Se spostassimo l’asticella oltre il confine italiano potremmo aggiungere le migrazioni dal Centro-Nord verso l’estero, vicino o lontano che sia, e completare il decadimento di un Paese la cui percezione di rappresentare un valore si è dispersa nell’incertezza di un quadro politico affidato a molti apprendisti. In questo il rapporto Svimez - troppo concentrato per debito d’istituto sul Sud - non dice nulla di nuovo e pur apparecchiando l’ennesima indiscutibile scenografia, non sembra offrire vie d’uscita se non limitandosi, in modo significativo, a fotografare ciò che ognuno di noi ha ben impresso nella propria mente.
Viviamo in un Paese e in una regione che annoiano, stancano, stucchevolmente ostaggi di una politica da grida manzoniane diviso e divisa, l’Italia e con essa la Calabria, tra “bravi” di turno e “salvatori” che si contendono i palcoscenici, ma nulla sembra cambiare. Viviamo in una regione, in particolare, che si presenta come laboratorio estremo di un Paese che è giunto a collocarsi ai margini di un’Europa che, ci piaccia o no, vive e produce e il cui distinguo sembra essere stato affidato all’ultima kermesse di un Cetto La Qualunque che non a caso ha scelto proprio gli ultimi mesi del 2019 per autocandidarsi a migliore, e forse non troppo, parodia della nostra vita politica.
Ascoltiamo ancora una volta, o leggiamo nei blog di chi si approssima a porre in campo l’ennesima azione salvifica, che si tratta di capire di cosa ha bisogno la gente, cioè l’elettore calabrese, come se bighellonando per le strade ciò non fosse drammaticamente evidente, come se avventurandosi per le corsie di un ospedale non si capirebbe quale sia lo stato di salute di una sanità che non riesce, o non vuole, curare se stessa. Come se non si fosse mai atteso un treno nelle deserte stazioni del litorale o affidati ad una coincidenza a Napoli diretta a Sud, laddove il rosso di una freccia chiude la sua corsa per affidare poco più di trecento chilometri ad una freccia di serie B. Come se non si fosse letto quale destino toccherà ad un Porto o quale sia la reale situazione aeroportuale.
E’ vero! Forse se riparte il Sud ripartirà anche l’Italia. Ma il Sud non è mai decollato e l’Italia stenta a riprendere una corsa anche solo per conquistare pochi metri di percorso rispetto al resto dell’Europa, ultima responsabile di mali da noi non curati.