Non credevo che la passione dei Lego fosse così diffusa anche al Sud. In verità da piccolo mi regalavano di tutto ma, guardando poi le pubblicità, mi sembrava che mancasse qualcosa. Cioè, mi rendevo conto che non tutte le novità arrivavano alle nostre latitudini in tempi giusti non solo durante l’anno, ma neanche per il Natale.
Probabilmente, la sempre più ridotta distanza dei mercati e le vie promozionali che corrono molto velocemente sulle nostre vite, e sui desideri dei nostri figli, hanno permesso di aggiornare il nostro mondo ludico avvicinandoci anche ai celebri mattoncini che sono sopravvissuti, bontà loro, a tutte le imitazioni che cercavano di sottrarre mercato. Ora, non avrei mai pensato che la logica dei Lego potesse essere oggetto, nello stesso tempo, di un paradosso e di una metafora per spiegare cosa accade oggi in Calabria. Per carità, nulla da dire sull’aderenza del riferimento letto sui giornali che ci sta, e bene, nella sua esemplificazione concettuale; ovvero per rendere semplice e accessibile un pensiero relativo alle condivisibili, in linea di principio, motivazioni poste a lato di un’operazione di polizia giudiziaria.
Tuttavia direi che, guardando al passato, vi sono state molte, tante operazioni giudiziarie se non politiche che hanno cercato di smontare la Calabria, poi tentativi vani di ricomporla, per poi, ancora, rismontarla quasi come se si dovesse, volta per volta, trovare un modello possibile che potesse ravvivare la nuova costruzione. E’ vero, potrebbe eccepirmi qualche amatore, che i Lego offrono ormai modelli precostituiti cui bisogna solo provvedere al montaggio. Ma è altrettanto vero che, precostituito o no, se non mantenuti e curati qualche pezzo prende altre strade e minaccia la tenuta dell’opera compiuta. Ora se dovessimo ricordare la storia recente della Calabria, direi che successi e insuccessi si rincorrono volta per volta, sovrapponendosi o rinnegandosi man mano.
Eppure un risultato, in questa corsa al montaggio e allo smontaggio, è stato sempre ottenuto. La mancata realizzazione di una coscienza collettiva, non diciamo il contrario, che è si consumata non solo nel plauso al successo, ma anche nella condanna dell’insuccesso di fronte a manifestazioni da Direttorio francese dimenticandosi che lo stesso Direttorio fagocitò il suo creatore e i suoi sostenitori. In questa rivoluzione progressiva in nome del principio mai defunto il popolo ti assolve, il popolo ti condanna – a cui una certa stampa si ispira scegliendo la condanna preventiva ogni oltre ragionevole dubbio - dobbiamo essere onesti osservando che dall’immondizia per le strade alla sanità o ai trasporti ferroviari - celebrati con le nuove Alte Velocita che altro non sono, da Napoli a Reggio Calabria, che i materiali delle ex Velocità, dismesse, da Napoli a Milano - la Calabria viene smontata ogni giorno da un quotidiano che ci vede tutti responsabili di ignavie o di compiacenze. Una Calabria che non vede operazioni di vario tipo indirizzate a smontare per rimontare in nome di un senso di civiltà che si dimostra nella pulizia di una strada o nel decoro di una corsia di ospedale.
Viviamo, per parafrasare un caro ed acuto giornalista oltre che già sindaco di un comune della locride, in una terra sconfitta. Ma è una terra che sconfigge se stessa, criminalmente, politicamente e giudiziariamente ogni giorno nel piccolo e nel grande, negli eccessi e nelle piccolezze. Non vi sono aree di immunità in un modello di convivenza che non ha spirito di comunità, se non solo allorquando la necessità ci costringe ad invocare l’aiuto altrui, salvo poi disconoscerne il valore. Arrestare e assolvere, in un gioco che continua da anni e di cui nessuno fa i conti al netto dei risultati sa di grottesco, vorrei dire gotico per un romanzo criminale i cui confini non si rintracciano con decisione.
Sembra da anni il gioco più in voga, smontare per (non) rimontare e non si comprende chi alla fine sia il vincitore. Io credo che sia sin troppo evidente, e chiedo scusa al lettore, che viviamo tutti nella sconfitta e che trovare rifugio dietro gli eroismi di pochi, se così fossero e ancorando le prime pagine ad una nuova Colombia, non ci salva dalla responsabilità di non avere il coraggio di guardare la realtà per quello che è. Politica senza contenuti ed idee, fine a se stessa e che oggi condanna mentre ieri assolveva, criminalità che nel caos organizza il suo illecito favorita dalla frammentazione delle anime, operazioni giudiziarie che ci respingono collettivamente indietro sull’assunto che la compiacenza sia sistema in Calabria, dimostrano, oggi, dove sta la differenza anche con comunità che sino a ieri abbiamo considerato di secondo piano se non altro perché ritenute non europee. In tutto questo, montando e rismontando l’immagine che ho della mia terra e della sua storia politica e giudiziaria degli ultimi dieci anni, mi chiedo cosa abbiamo mai avuto allora di europeo e cosa vorremmo avere adesso. E, cioè, cosa possiamo condividere con altre comunità meno fortunate, ma che hanno ed esprimono un senso della realtà più concreto e che non giocano all’autodistruzione in nome dell’autocelebrazione di pochi.
Oggi possiamo smontare rimontare, ma dovremmo essere consapevoli che stiamo giocando a smontare e rimontare in un deserto che tutti, dico tutti, abbiamo contribuito a creare ed ognuno con aspettative diverse o per convenienze diverse. Buon Natale da un Calabrese per caso!