Ho ricordi molto vivi dei miei anni da adolescente in Calabria. Vivevo due anime e due realtà molto vicine la cui diversità era dettata solo da un contrafforte appenninico che attraversavo ora in una, ora nell’altra direzione scavalcando le nebbie delle Zomaro.
Un’andata e ritorno nelle feste comandate come nelle vacanze. Un vissuto ordinario, fatto di ordinaria quotidianità dove la normalità era in sé, non avendo termini di paragone per poter distinguere la straordinarietà in tutti i suoi aspetti: che fossero una sanità migliore o qualcosa di più per chi si annoiava a giocare in ludi di piazza inventati al momento. Era normale tutto. Normale sentire sempre parlare delle solite cose, ascoltare le lamentele quasi litaniche dei pensionati nel viale o nella immancabile piazzetta o ascoltare i telegiornali con le stucchevoli notizie di cronaca che, in fondo, davano diverso colore alla nostra terra cui il rosso non mancava di essere il colore dominante. Ed era normale sentire o vedere come ad ogni tornata elettorale, che fosse comunale o di più alto rango, le successioni quasi ereditarie o le schiere di replicanti si facevano strada e, così, capivi, che fare politica non era per tutti o, in certi casi, era un affare di famiglia di certo non la tua.
Non tocca ad uno come me annotare in queste poche righe la avventure elettorali tra famiglie varie, che fossero della Piana di Gioia Tauro o della Locride, ma si potrebbe dire che ogni provincia ha le sue. Credo che ognuno ha molto bene in mente le geografie locali nelle quali si dividevano non tanto le ragioni di partito, ma quelle delle ambizioni personali di mantenere una sorta di supremazia nel possedere l’aura di un politico che conta per antonomasia. Ora, guardando a quanto accade in Calabria e curiosando tra le liste, pubbliche ormai, dei candidati credo che in molti si siano resi conto che i tempi non sono così cambiati.
Resta ferma la convinzione, tutta in terra di Calabria, che il successo politico rappresenti la migliore espressione di un’affermazione di un sé proprio, piuttosto che collettivo. Un sé, che tende a consolidare una sorta di dignità di censo tipica di società di altra epoca ma riorganizzata, senza troppa fatica, anche ai giorni nostri. Tra politici navigati e delfini l’idea potrebbe essere che le ragioni del cuore, alla fine, prevalgono sempre. Sarà una questione di affetto o una sincera volontà di riconoscersi come votati al servizio degli altri, non lo sapremo mai con certezza.
Tuttavia, è fuor di dubbio che la politica in Calabria la si eredita come la si replica. Ma se così fosse, allora si ereditano anche i problemi e quanto non risolto per chi subentra nel primo caso o ci si dovrebbe chiedere da dove iniziare per chi tende a replicare se stesso nel secondo caso, magari con un vestito nuovo o forse appena rabberciato. In entrambi i casi la politica rimarrà un luogo per pochi. Uno spazio nel quale l’individualità o, meglio, l’individualismo si porterà con sé la solita dose di vanesia nel cercare il delfino legittimato o il replicante sopravvissuto all’ennesima tempesta elettorale poco perfetta.