C’ è uno sforzo incredibile da parte di molti esponenti politici, poco importa se nazionali o espressioni del meglio delle regioni italiane, che si contendono il primato di dimostrare di essere importanti, magari destinatari di chissà quale taumaturgico potere risolutivo o investiti di una guida politica quale espressione di un malcelato senso di sovranità di parte. Forse, per alcuni, anche interpreti di una sorta di federalismo sanitario che muta l’ordine costituzionale al punto da definire confini da quasi-Stato, piuttosto che fisici, delle regioni.
Tralascio ogni commento sulla conoscenza della gerarchia delle fonti e degli assetti costituzionali, sia della Parte Prima-Titolo Primo che della Parte Seconda-Titolo Quinto. Non mi aspettavo nulla di più da coloro che avendo giurato l’osservanza della Costituzione, di fatto l’hanno dimenticata a colpi di più sbrigativi decreti quasi come se il Diritto Costituzionale fosse una materia complementare di cui poter fare a meno in un percorso giuridico. Un aspetto, questo, che nella supponente saccenza che ormai contamina, qui ci vuole, ogni istituzione, non ci dovrebbe meravigliare.
Tuttavia, ciò che porta verso il baratro dell’assurdo è come e in che misura, di fronte ad un’emergenza dalle tinte sempre più fosche e dai dubbi di sistema e procedure che ormai denudano ogni monarca, abbiamo scoperto che esistono dei confini parapolitici a spettro sanitario che definiscono quasi la necessità di doversi dotare di un lasciapassare per viaggiare da una regione ad un’altra. Una sorta di salvacondotto, magari con certificato di sana e incontaminata salute fisica che forse farebbe intimidire anche Sparta.
Ora non vorrei debordare dal buon gusto che una sana e sincera dialettica dovrebbe mantenere. Ma leggere di “confini” tra regioni, di autorizzazioni a superarli, credo sia la manifestazione della maggior ipocrisia, se non di una chiara violazione di un diritto costituzionalmente garantito e che nessuna, dico nessuna regione può comprimere e per un motivo ben preciso: le Regioni, quanto le province autonome, non sono enti politici dotati di sovranità. Non rappresentano parti di uno Stato federale con autonomia legislativa esclusiva e non delegata.
Esse rispondono solo ed unicamente ad un’esigenza amministrativa di decentramento e di svolgimento di attività politiche di gestione, ma che non possono riguardare la limitazione/interpretazione di norme costituzionali se non per esclusivo debito e dovere di osservanza. Sconfinare nel capovolgimento degli assetti costituzionali – qualunque sia la motivazione non riconosciuta alla regione se non come destinatario o ricorrente - significa ammettere che sia mutata in qualche modo, e non ce ne siamo accorti, la forma dello Stato e, con questo, anche i poteri dei presidenti delle giunte regionali. Ma così, mi sembra, ancora ad oggi non è.
Ora, se siamo giunti al lasciapassare per paure sanitarie di vario genere, forse dovremmo rivedere anche le politiche migratorie e, magari, un consiglio, porre in quarantena coloro che provengono da altre regioni del mondo. O magari, e perché no!, richiedere ai confini un certificato di non pendenza di carichi giudiziari o, anche, una certificazione alla dogana regionale di essere in possesso delle possibilità economiche di sostentamento. Insomma, se siamo giunti ad un federalismo di fatto senza accorgercene, dove ogni regione va ormai per fatti propri, mi chiedo: perché qualcuno si scomoda a lanciare strali verso un’autorità centrale che lascia fare e poi si cita la Costituzione?
In fondo, sembra essersi ormai affermata una costituzione materiale, costruita sull’uso della paura. Una Costituzione del chi si sveglia prima, per la quale non solo serve un’autorizzazione per superare i confini dei nuovi Stati regionali dell’Italia, ma anche la possibilità che qualcuno, violando l’art. 3 della Costituzione - senza andare verso altre configurazioni di sapore non gradevole - possa permettersi l’ardire di dire anche che non si affitta a chi arriva dal Nord. Un esercizio di federalismo casalingo.