Sembra una storia infinita, una sorta di cronache di Narnia alla paesana, che aprono volta per volta le porte di un nuovo armadio, dove ad attendere l’ospite che vi si affaccia non è sempre un mondo di desideri, ma una realistica rappresentazione di quanto ogni tanto chiudiamo fuori dal nostro quotidiano. L’emergenza sanitaria ci ha distratto dal quotidiano. Ma le ragioni della vita che continua ci ha ricollocato nuovamente sulla realtà delle nostre esistenze sospese tra promesse, aiuti post-Covid rilanci vari e altre promesse.
Abbiamo guardato con tale apprensione l’evolversi di una malattia da dormire notti insonni o dal vedere il vicino come il pericolo che si approssima al confine della nostra sicurezza. Poi, di colpo, come se ci si risvegliassimo da un torpore tipico di chi tenta di esorcizzare la paura, ci siamo svegliati proiettati in scene multicolore offerte da opere d’arte in plein air, spontanee, per certi versi, nel senso che qualcuno spontaneamente ha inteso decorare con un proprio gusto estetico, angoli e strade dei nostri Paesi. Non solo.
Presi dalla sindrome ossessiva di disinfettare ogni oggetto o cosa da un patogeno reso star mondiale, abbiamo dimenticato nuovamente quel minimo di educazione ambientale che dovrebbe essere la precondizione per ogni politica di prevenzione e di sanità pubblica che è data dalla gestione dei rifiuti. Un argomento che non sembra piacevole e che, in passato, ritenuto anche indegno da essere affrontato da qualche politico convinto, dall’alto della sua posizione, che il suo mandato non dovesse così scendere in basso al punto di occuparsi dell’immondizia.
Ora, credo che di tale emergenza come di quella sanitaria, come di quella dei trasporti, come di quella dell’edilizia scolastica, come di quella del depauperamento dei centri rurali, come di quella dell’occupazione, e come di tante altre… ci si approssimerà a parlare ancora per molto tempo. E, ciò, non per pessimistica convinzione sulle capacità delle istituzioni o delle cariche pubbliche, che in verità non metto mai in discussione… o quasi. Bensì, perché è la storia, i processi di gestione, le proposte, l’azione indecisa e non risolutiva che dimostrano su quali basi di partenza ci si muove e ciò riguarda ogni, quotidiana, imperitura emergenza.
Capisco che nel vivere nell’emergenza si giustificano molte cose. Si passa sopra le carte, le inchieste, anche sui provvedimenti, si creano nuovi alibi o si sposta il problema a tempi migliori, magari aspettando chi se ne occuperà al nostro posto. Io credo che un simile modo di agire non risponda alle necessità di crescita che, in piena obiettività, si riducono giorno per giorno. Programmi assenti se non lanciati sotto forma di proclami, esperienze e competenze che sono forse, così decantati, resi ad utilità di pochi eletti. Programmi, sia in termini culturali che di interventi, che dimostrano e completano un quadro poco preciso di come riorganizzare un territorio con le sue comunità. Un paesaggio dove al protagonismo di alcuni si sommano comode comparse dal cui fuoco le castagne non le leverà più nessuno. Né la politica degli amministratori ognitempo, né i tanti commissari multitasking, provati e misurati per decenni in ogni ambito. Forse se si ricominciasse da una buona e vera coscienza civica non sarebbe male. Ma in terre dove l’individualismo e il protagonismo per la corsa al seggio o alla seggiola domina la storia, ogni retropensiero diventa un’impresa ardua, difficile se non, per chi ci prova, improponibile.