Ci capita spesso di credere che il nostro mondo, quello che ci circonda, sia fatto di regole. Regole che, nel disciplinare i nostri comportamenti o le nostre relazioni, a volte sembrano semplificarci la vita per il solo fatto che ci dicono cosa fare. Una condizione che, in realtà, vale anche per le istituzioni laddove esse siano destinatarie di norme provenienti da livelli superiori o attribuite per autonomia statutaria dai propri organi legislativi. Eppure, nonostante tale possibilità in molte, troppe situazioni si naviga nel caos.
Probabilmente, bisognerebbe anche dire che a volte il caos nasconde dei principi ordinatori che, secondo il mondo con il quale si combinano le diverse possibilità, dovrebbero venire a galla e ristabilire condizioni di regolarità. Tuttavia, mi sembra, che ciò non accada in Calabria da tempo. Ovviamente le cause possono essere molteplici e le giustificazioni altrettanto numerose: alcune plausibili e altre francamente di comodo. Quelle plausibili si potrebbero, il condizionale è di imperio discettando di Calabria, individuare nella distanza tra centro e periferia dettata da una minor attenzione del governo centrale sui bisogni del Sud e della Calabria in particolare, la cui ultima rivendicazione di tale malessere sembra essere il fatto che non vi sia traccia nel piano Colao di interventi tali da rendere il Mezzogiorno d’Italia un territorio strategico nel rilancio del Paese.
Un’assenza da un piano e da uno storyboard, ammesso che ne scaturisca l’ordine degli interventi, che sembra stonare con le promesse e le aspettative della politica meridionalista, o di ciò che ne sopravvive, e che susciterebbe particolare attenzione se poi aggiungessimo le origini del citato top manager. Ma non solo. Se in molti si aspettavano un Rilancio Sud annesso se non connesso al Rilancio Italia, probabilmente questi andranno delusi man mano che il velo si aprirà sulle reali condizioni di un Paese che naviga a vista e resterà ai buoni uffici meridionali solo la possibilità di poter almeno condividere tale gioiosa incertezza – si fa per dire – dal momento che nel caos tutti possono, forse, ritagliarsi qualcosa di utile.
Ma se tale consapevolezza sembra essere il miglior prodotto della rassegnazione i fatti dimostrano ben altro, quel caotico fare e non fare in cui ognuno ritaglia spazi per se, o accede a servizi con scorciatoie possibili al di là della garanzia di fruizione allargata e senza fronzoli, potrebbe rivelarsi fatale. Insomma, se guardassimo all’assenza di un quadro generale di programmazione politica ed economica del futuro della Regione, se tenessimo in considerazione che non si vede all’orizzonte una politica sanitaria organica e strutturata e che ogni università va per fatti suoi, sia nelle offerte didattico-formative che nelle richieste al Ministero di interventi possibili, certo, ma non aderenti alla complessità e alle necessità della regione nelle sue diverse manifestazioni, tutto questo non fa altro che affidare alle regole (e non è un ossimoro) del caos ogni soluzione. Insomma, tra Asp in disperato bisogno di liquidità senza che si ponga l’accento sull’efficienza delle strutture in termini organizzativi e di offerta dei servizi di diagnostica e di cura nonostante le diverse eccellenze divulgate in varie occasioni, e richieste di laboratori che diano alla Calabria un valore scientifico tale da competere con istituti di astrofisica di altre latitudini, sembra che ogni portatore di una visione per materia agisca secondo una prospettiva personale ma senza avere un quadro di insieme ben preciso.
Se per la Sanità si tratta di riscriverne non solo la gestione, risolvendo il rapporto tra pubblico e privato in convenzione e la meritocrazia nella attribuzione degli incarichi, nelle università si presenta la necessità di dover rivedere le offerte formative distribuendole non solo tra tre, dico tre, atenei, ovvero tre rettorati, ma soprattutto, adeguare l’offerta stessa a prioritarie formazioni utili a far decollare una regione in termini economico-produttivi e anche di ricerca, ma applicata. Nessuno vuol togliere ambizioni e idee ai singoli esperti. Ma quando si amministra una comunità sono le diversità a dover fare la differenza e, quindi, a dover essere regolate e non lasciate alle regole del caos. In fondo, la Calabria mi sembra abbia sperimentato per anni forme entropiche quasi prossime ad una visione quantistica di un (dis)ordine sociale e sarebbe il caso di non trasformarla oggi in un frattale.