Direi che tra gli argomenti di cui ho scritto negli anni quello sul turismo forse è il più frequente così come, d’altra parte, è il tema maggiormente presente nelle fantasie politiche di crescita o nei sogni di bambini mai adulti che vorrebbero essere alla pari di altre esperienze ma senza avere, possibilmente, lo stesso stress da lavoro o da pensiero.
Lasciamo stare ciò che si poteva fare o si è fatto o forse si farà, in coda all’inerzia di sempre - emergenza sanitaria permettendo, se questa è ancora un buon alibi per immobilizzare un Paese o una regione - e vediamo dove siamo arrivati utilizzando un indicatore semplice: la pubblicità del sentito dire, del chiacchiericcio da pianerottolo del condominio e, oggi, la telefonata radiofonica del mattino. Quella telefonata che ogni giorno contrassegna il quotidiano del chiunque sintonizzato, che crede di aver qualcosa da dire ad un mondo appena svegliatosi, magari mentre è in viaggio verso la solita meta lavorativa o mentre si sente affaccendato da prodezze casalinghe e nella radio trova quel conforto, o quella compagnia, che gli rende meno triste lo scorrere del tempo.
Ebbene, tra le tante telefonate che ascoltiamo nella nostra felice passività, qualche giorno fa vi è stata una gentile ascoltatrice che ha preso in parola lo spot personalizzato della Calabria quale località da scegliere per la non più prossima estate il cui unico rischio, per chi volesse avventurarsi tra le sue coste, sarebbe quello di vedersi colpito nella tenuta della propria forma fisica. Un pericolo da mettere in preventivo nel rischiare di raccogliere qualche chilo in più per effetto della nostra, risaputa, ospitalità gastronomica.Una telefonata come tante, è vero, ma che si è capovolta nel solito e forse non tanto meravigliato commento del conduttore. L’ascoltatrice, confidando alle frequenze che aveva preso in esame la possibilità di trascorrere quest’anno le vacanze in Calabria, attirata da una pubblicità senza veli, con il suo accento nordico o similpadano, ha iniziato raccontando la sua avventura esplorativa, al momento solo telefonica, a Sud. E, cioè, aveva chiesto ad un operatore turistico calabrese delle informazioni sui servizi offerti e sui posti visitabili. Insomma, sul come e in che termini poter gestire/organizzare una vacanza in Calabria.
Ora, la risposta dell’operatore turistico doveva essere probabilmente aperta ad una promozione senza remore tenendo conto che a certe latitudini l’organizzarsi per il cliente è quasi una condizione di vita e non un orpello. Tuttavia, l’ascoltatrice, dimostrando molta sorpresa e forse sottovalutando che il nostro vivere alla giornata è un sistema se non una cultura che ancora oggi sfugge ai più, ha confessato senza mezze misure che l’interlocuzione si è risolta con un non mi faccia perdere tempo e con il suggerimento di prenotare e che ogni indicazione su cosa fare e cosa vedere gli sarebbe stata fornita una volta giunta a destinazione. Ora, credo che ci possa stare tutto. Ci può stare la verità intrinseca delle parole dell’ascoltatrice quanto il dubbio che tale telefonata, per chi ama le complicazioni e il mal pensare malizioso, possa essere stata una trovata per contenere una possibile competitività della regione rispetto ad altre e più blasonate destinazioni.
Però, sia che si tratti di una telefonata fatta in totale buona fede o che si possa sospettare anche l’essere una sorta di operazione strumentale artefatta, il risultato è che ne usciamo ancora una volta sconfitti. Nel primo caso, se la telefonata fosse sinceramente pervenuta quale manifestazione, seppur in una confidenza allargata, di un disappunto i commenti sarebbero tanti, ma uno solo forse li avrebbe riassunti tutti: siamo ancora a questo punto! Nel secondo caso, ovvero se si trattasse di un’operazione di disinformazione finalizzata a far perdere terreno alla Calabria in termini turistici, allora mi chiedo dove è il controllo, la dignità, la difesa e la reazione in questo come in altri casi di una terra che non difende mai se stessa quando deve mettersi in gioco.
Una terra che, al contrario, lo fa benissimo quando deve commiserarsi e piangersi addosso assumendo iniziative discutibili e poco lungimiranti. Una terra, che passa dalla pubblica manifestazione della fragilità sanitaria senza mezzi termini per giustificare l’incapacità di poter gestire una emergenza – come se questo aspetto non fosse importante nell’attirare o meno turisti al di là delle acrobazie culinarie possibili – al credere che prendendo per la gola il turista si possa fare a meno di curare quel porta a porta che si consuma in ogni angolo del Paese, dal bar, al condominio o nelle frequenze di una radio qualsiasi.