Tutti abbiamo immaginato cosa avremmo fatto questa estate. Lo abbiamo sognato o solo prefigurato quasi come se si trattasse di un esercizio di sopravvivenza alla quarantena di due mesi e poco più che ha contraddistinto solitudini ed angosce. Una condizione di timore che, ancora, nonostante le rassicurazioni - o il semplice deflusso verso una coesistenza come la vita richiede con ogni patogenesi in via di adattamento - non sembra volersi ritirare.
Capisco l’atavica paura del male, che incombe nella melodrammatica rappresentazione della vita al Sud che ci porta ad essere legati all’istinto, poiché se guardassimo con gli occhi della ragione forse sarebbe peggio. Tuttavia, in una quasi descrizione pentateutica, che non significa pentastellata e simili, la fatalità non sempre può essere assunta a metro di volontà divina o, ancora peggio, ricondotta a disciplina di chissà quale abile virtù divinatoria delle nostre ave. Insomma, se aspettiamo che i miracoli siano parte della nostra vita e cerchiamo di esorcizzare i demoni con riti da piazza pseudopolitici, non credo che qualche buona Fata venga in aiuto perché se non Morgana, di certo men che mai vantiamo un Merlino
In fondo la Calabria e la locride non sono terra di Collodi e anche fantasticare richiede giovialità, spirito di avventura e adattamento e, quest’ultimo, sembra essere merce rara. Insomma, non è che il mare non sia bello o il sole non sia caldo, né, in fondo, che la dieta mediterranea tra vitigni o fichi al sole non paghi nelle sue golosità frugali. Ma pensare ancora che il turismo sia un frutto di stagione, che come viene così se ne va, è di per sé disarmante. Ma non perché il turismo non ci piace, o forse perché lo troviamo invadente. Ma perché è troppo impegnativo, siamo concreti
D’altra parte, confezionare uno spot costa poca fatica, ed è anche ben retribuito nelle complessità digitali di un montaggio che non vede le fatiche dello sforzo delle pellicole di una volta. Ma garantire nel tempo spiagge e acque pulite, ospitalità diffusa con condizioni e cultura della qualità richiede troppo dispendio di energie e, si sa!, con il caldo meglio conservarle. Tanto, che si tratti di un turista strettamente di ritorno o di qualche avventuroso velleitario, entrambi potranno confidare rispettivamente, il primo nei parenti che vi restano ancora, e il secondo nella fortuna, o nell’augurarsi, di trovarsi sempre nel luogo giusto e nel momento giusto.
Ma vorrei essere positivo ed andare oltre le notizie della costa tirrenica e delle sue avventure ambientali, e anche pormi lontano dalle critiche ad una visione pseudoturistica che sembra più rivolta a conquistare spazi ridotti di credibilità, piuttosto che investire in silenziose opere che parlino da sole. Credo che l’unico frutto della stagione apprezzato sarà quello di chi torna nella propria terra noncurante delle dimenticanze di chi vive il quotidiano con lo scandire del solito tran tran estivo.
Perché è proprio chi torna che ricorda al mondo che esiste una regione, un luogo, un paese e dei ricordi. Sentimenti vissuti da chi è emigrato e i cui frutti del lavoro all’estero o nel profondo oggi vituperatissimo Nord hanno permesso a famiglie intere di poter avere un futuro o poter andare avanti nei conti o ai figli di studiare. Perché è chi ritorna che apprezza ciò che circonda quel breve lasso di vita che lo avvolge in pochi giorni e per il quale ogni respiro, ogni frutto ha una sua bellezza che chi si giova dell’abitudinarietà non coglie più.