Calpestiamo ogni giorno sentieri del nostro vissuto spesso senza renderci conto di chi vi è passato prima. Crediamo di aver raggiunto uno stile di vita che ci affranca da qualunque ricordo delle nostre origini. Origini, messe da parte, per alcuni, per non far discutere sulle poco nobili tradizioni o da altri dissimulate da una ricchezza da ostentare in ogni occasione o in una semplice passeggiata, magari facendo notare griffe a ogni piega d’abito o griffate scarpe da ultimo capriccio.
Siamo lì, pronti a misurarci con il successo di una possibilità o di una moneta in più, se non dell’autovettura nuova fiammante o nelle sacralità dei fastosi convivi nuziali verso i quali molte altezze reali sembrerebbero frugali nei loro banchetti (sottolineo frugale, aggettivo particolarmente di moda di questi tempi). In questo continuo esorcizzare ogni non blasonata vicenda, ci siamo illusi di poter vivere senza pagare conti, di poter fare a meno di specchi nei quali, prima o poi, guardare le nostre rughe, gli occhi un pò meno. Ma, nonostante tutto, continuiamo a volgere lo sguardo sempre in alto.
Cerchiamo le ragioni o forse, meglio, le giustificazioni, per sentirci pari magari rivendicando aristocratiche origini, senza riconoscere che l’ellenico fuoco della civiltà magnogreca si è spento man mano lasciando dietro di sé ricordi di ruderi che solo abili mani d’oltre Volturno se non d’oltre Po, han saputo ritrovare. Così come, che ci piaccia o meno, solo prose di arditi e avventurosi viaggiatori si sono cimentati in racconti sociologici cogliendo il senso tra riti e immagini apotropaiche e costumi variopinti da festa. In questa rincorsa nel tempo e negli anni rivolta a voler raggiungere degne mete da eccellenze di vario genere, non si è risparmiato nessuno.
Tra progetti, serate di piazza e rinverdite rivendicazioni di eredità etnico-culturali non dimostratesi nei secoli - visto la deriva della cultura locale, e non ritengo cultura il monopolio della scolarizzazione per le famiglie nobili di epoca borbonica – oggi sembra vi siano sul tavolo invitanti ambizioni. Una capitale della cultura, perché no? Magari emulando l’epilogo mondiale dei sassi di Matera che al Divino devono molto e anche al buon Mel Gibson, o ricercando nelle dimenticate gesta prosaiche di Nosside una musa cui guardare se non, magari, ricercando un’Ipazia che potesse sdoganare superstizioni del passato accreditando scienze del presente. Ma non solo.
Dalla capitale della cultura al ricercare una città per un’agenzia europea per l’archeologia, magari individuando una realtà urbanizzata dalle armoniche architetture, che archeologicamente possa dire qualcosa di suo anche nelle scoperte e non essere la scoperta di altri il passo non sarebbe azzardato, immaginando… Ma questo richiederebbe una dose non comune di umiltà e di predisposizione verso il passato e verso il futuro e anche, appena forse, un pò di gusto estetico nel dire e presentare opere e paesaggi, o nel narrare storie o organizzare eventi, o semplicemente nel rendere ordinato e curato ogni sito a noi così frugalmente svelato.