Non è certo una stagione come le altre quella che viviamo oggi. Ci gongoliamo al sole nella speranza che l’illusione delle normalità di aiuti ad esorcizzare i mesi non facili ormai passati e quelli che arriveranno. E non è una stagione facile perché non ci permette di illuderci sul futuro, tranne se non vogliamo eludere noi stessi da una visione pratica della vita. E non è solo una questione di modo di porsi.
Si tratta, in realtà, di una necessità di rivedere, se non ripensare, stili e approcci verso una società meridionale che non può continuare a sopravvivere sulle speranze e sulle opere taumaturgiche di santoni laici dell’economia parlata, piuttosto che praticata allo stesso modo della legalità. Come scrissi in un tempo non molto lontano, tra il passato di sempre e il nostro presente non sono mancati e non mancano momenti nei quali la questione meridionale, ovvero la trappola ideologica e antropologica dalla quale non riusciamo ad emergere o fuggire, sembra, ogni estate essere lì, pronta per esser superata.
E ad ogni meeting, festa, festival, premiazioni in diverse piazze ci dicono che siamo pronti, che decolleremo per un futuro che darà giusto merito ad un’economia antica, ad una società ingessata da un interventismo poco adatto alle premesse, ma molto funzionale ad una crescita del Nord così come ai clientelismi, ad un territorio bellissimo ma, per colpa di non si sa chi, dimenticato… ovviamente sino al solito “ieri”. Insomma, tra promesse di grandi opere, legalità a piene mani professate in ogni dove, promesse di rilancio, anche questa timida estate calabrese ci offre i soliti temi presentando l’immagine di sempre.
Tra emergenze ambientali che non trovano soluzione se non trascinare in un’ossessiva corsa a come e dove collocare un rifiuto che diventa lo scarto delle nostre coscienze, attese per nuovi show giudiziari penalprocessuali, e lavori non definiti che azzerano la cultura del passato per rinnovare a data da destinarsi un museo in nome di una sensibilità post-archeologica di un’idea magnogreca della quale abbiamo ereditato solo la visione melodrammatica della vita, ma non certo l’efficienza, nulla muta
In una gattopardesca rappresentazione della vita quotidiana e delle relazioni politiche che si autoalimentano delle loro convinzioni, ognuno gioca il proprio ruolo e il proprio personaggio ponendosi come salvatore del mondo senza dire, però, come e in che misura lo ha redento o se, nell’opera di redenzione, forse non tutto è così chiaro e reale per ciò che dovrebbe servire a dare credibilità ad un’autorità, sia essa politica o pubblica. In questo gioco delle parti, allora si consumano i riti dell’ambiente, della cultura e della scuola.
Competenze affidate a personalità che si aggiungono ad una classe di amministratori pronti a celebrarne le virtù, ma non a sottolinearne le ipocrisie. Un circo di buoni propositi per altri che l’estate sembra ispirare, quasi a riempire un quotidiano usando i luoghi comuni come idee vincenti ma scadendo, nei pensieri e nelle posture da attori fatti e finiti, nella stravaganza assolata tipica di un tanto per dire.