Quante volte abbiamo letto, scritto, commentato e discusso di legalità e sicurezza. Di giustizia e di correttezza della stampa, se non di giusto peso ed equilibrio nel definire termini e modi di condurre indagini e pervenire a risultati certi. Di spettacoli offerti ad una platea convinta che certe cose accadano sempre agli altri, o dati in pasto a chi del ludibrio pubblico ne fa un motivo di riscatto da modelli o sistemi di potere che, per quanto censurabili anche solo per etica se non per reato, non ne avrebbe certo evitato di ricorrervi se solo ne avesse avuto la possibilità. non solo.
Nell’esercitare funzioni e competenze tipiche del suo ruolo, precisò la necessità di disporre di una comunicazione coordinata e più ufficiale rivolta ad evitare eccessi di protagonismo o enfasi nel gestire conferenze stampa e, in generale, i rapporti con gli organi di informazione. Per l’allora procuratore capo a lasciare perplessità sarebbero proprio le conferenze stampa “che servono soltanto in casi eccezionali”, mentre i comunicati stampa sarebbero più utili nell'attività ordinaria prestandosi meno a fraintendimenti.
Sempre nel rispondere ai giornalisti rappresentati dai direttori delle testate piemontesi tra cui La Stampa, il Procuratore capo Spataro si sarebbe detto favorevole a far accedere agli atti di un'inchiesta i giornalisti ma solo “da un certo momento in poi…e dopo che il giudice abbia deciso che cosa è rilevante e che cosa no” a cominciare dalle intercettazioni telefoniche. “Nessun legislatore può sostituirsi al giudice nella valutazione della rilevanza”. Insomma, una sorta di canone se non un richiamo a deontologie che dovrebbero essere, fuori dalle ipotesi di reato che si configurerebbero nel violare garanzie e diritti, normalità nell’agire e che dimostrano come e in che misura vi sia un pensiero per il quale rapporti e notizie non possono, e non dovrebbero, avere alcun timbro di personalismo ma solo essere il prodotto di un valutato bilanciamento tra diritto di cronaca, tutela delle indagini e garanzie nei confronti delle persone.
Un monito indirizzato ai PM della propria procura e ai giornalisti che non sembra aver avuto negli anni simili emuli altrove ed in Calabria in particolare. La precondanna di un indagato, pronunciata in processi virtuali celebrati sin dalle conferenze stampa, o scritte in libri che non hanno appello perché non ne seguono le puntate successive, o in talk show senza contraddittorio, quasi a stabilirne la colpevolezza prim’ancora che si instauri un dibattimento, sembrano rappresentare un modello che supera le deontologia e forse anche le previsioni ordinamentali.
La criminalizzazione per via parentale che distingue la vita di molte famiglie da una normalità ormai effimera, dovrebbero far riflettere su come e in che misura il protagonismo non sia al servizio della giustizia o della crescita sociale di una società. Così dicasi per la reiterazione della custodia cautelare in carcere, motivata da necessità investigative certo, ma nei limiti di concrete esigenze e senza far venir meno quel confronto immediato e necessario tra chi accusa e chi ha il diritto di doversi difendere. Si può ricercare il mito, ma non al prezzo di una condanna extraprocessuale o andando oltre l’ordine giuridico e deontologico. In tutto questo, vi è la differenza tra giustizia e società del diritto e la ricerca di una reiterabile, nel tempo, gloria da copertina.