Premetto. Non sono un regista, né un critico cinematografico, né un esperto d’arte e, forse, neanche la persona giusta per avventurarsi in una valutazione di pensiero non appartenendo alla schiera di intellettuali ufficiali che abbonda dovunque, dalla carta stampata, alle librerie, alle rubriche televisive o alle tastiere liquide dei social che affrancano ogni mente dal suo reale valore.
Probabilmente non sono neanche così emozionalmente emozionabile, essendo nato e cresciuto a ridosso dell’Aspromonte, ambiente di cui forse ho ereditato la ruvidità dei giudizi. Tuttavia, credo, che da calabrese potrei dire qualcosa anch’io in tutta libertà e franchezza, dal momento che non sono portatore di alcuna opinione dominante e mi limito solo alle sensazioni che nascono da questo ultimo videotentativo promozionale. Di certo non ho, ma è premessa di queste poche righe, emotivamente condiviso nulla di Calabria Terra Mia e non perché la Terra non fosse la mia, ma perché credo che non fosse del regista e forse neanche di un protagonista che si è affidato ad una romantica apparizione quasi si trattasse di un video pre-matrimoniale che in genere ogni foto-cineproduttore dei nostri luoghi confeziona su commissione dei prossimi sposi.
Capisco il tentativo di aprire una finestra sui luoghi e sulle persone, ma otto minuti non sono pochi e dipende su cosa si vuole comunicare, come farlo e, soprattutto a chi. Non siamo nuovi a tali esperimenti, diciamocelo chiaramente. Dalle trovate strapagate di Oliviero Toscani - altri milioni di euro distribuiti nell’altrove della celebrazione del famoso salvatore, vi ricordate dei terroni? Si…siamo calabresi...? - alle pubblicità senz’anima che non hanno sortito nessun ritorno sul territorio, né garantito un cambiamento di narrativa sui luoghi comuni che ci asserviscono ad un’immagine di terra criminale, quasi di confine se non marginale - aprendo le porte a promozioni tipo Zero Zero Zero, e così via - questo video del cuore giunge per ultimo e fuori tempo massimo: ovvero a stagione conclusa e per la prossima estate sarà già vecchio e sbiadito.
Calabria Terra Mia non mi ha emozionato, non ha emozionato mia madre, non ha emozionato i miei amici e non ha emozionato nessuno di coloro cui ho proposto il video anche alle latitudini che vorrebbe conquistare. Calbrerra Mia non è un reportage, definirlo tale francamente mi sembra alquanto velleitario poiché non riporta nulla che non sia evidentemente stato costruito per l’occasione, girando il tutto attorno ad un protagonista la cui Calabria non sembra e non traspare così emozionale come sarebbe stato se raccontata da chi la vive o da chi, tornandoci, la descrive con migliore e più sentito sentimento. Dialoghi scontati, una sorta di fatto apposta, non coinvolgente, recitazione quasi dovuta, per certi versi irreale con un passaggio sui campi di grano e di altro – ormai quasi una rarità – che ricorda l’onirico fotogramma del film Il Gladiatore sino ad un verde eccessivamente adamantino che quasi stona con il realistico turchese del nostro mare.
Insomma, una spersonalizzazione dei luoghi, la trasformazione della Calabria in un non luogo dal momento che nessun “luogo” ha avuto una sua personalità anche solo per qualche secondo. Una fotografia panoramica che non stimola empatia o emozioni, un’assenza di spontaneità nella narrazione dialogica che si somma al dover forzare una naturalezza dei luoghi; una forzatura che ha messo da parte ogni possibile, naturale suggestione. Una naturalezza distratta dalle esigenze di copione, che non avrebbe avuto necessità di essere sottolineata dal momento che sarebbe stato sufficiente anche il silenzio visto quale miglior linguaggio della natura, dei luoghi, degli sguardi delle persone che avrebbero affascinato lo spettatore senza doverlo convincere. E poi, i costi!
Credo che qualunque ragazzo calabrese, appassionato di fotografia o cinematografia, o esperti registi calabresi già autori di prodotti con contenuti non di secondo piano e che hanno saputo descrivere con umile volontà, e senza retorica, pezzi della nostra storia o del nostro quotidiano – e mi riferisco tra i tanti, perché conosco la sua passionalità, al regista Salvatore Romano già messosi in evidenza con il suo Liberarsi. Figli di una rivoluzione minore o al prossimo L’incontro, quest’ultimo girato sul Pollino e sceneggiato tra Mormanno, Laino Castello e dintorni – sono convinto che avrebbero fatto meglio e a costi molto più contenuti.
Otto minuti costati circa 1,7 milioni di euro con compensi a sei cifre per un impegno che doveva essere un piacere, e forse anche un regalo per la propria terra, rappresentano una cifra che si commenta da sola e non ci sono parole da aggiungere ma emozioni da descrivere, questa volta si!, provocate in chi, con obiettivo senso della misura, sa già che tale spesa è stata un eccesso e che è consapevole che mettere in onda il “corto” in futuro, se mai avverrà, costerà altrettanto caramente ai bilanci della Regione. Probabilmente il fascino della celebrità di turno, il nostro culto del forestiero che sa e a cui affidare i nostri destini segna ancora il nostro cammino di comunità e cultura subalterna, quanto la modernità dei termini di confezionamento di un prodotto di maniera sembra mettere a video un racconto di Harmony o di Liala.
E, allora, di fronte a tutto questo, mentre scorrono i fotogrammi sul mio dispositivo, vorrei chiudere con un pensiero di un regista, Pier Paolo Pasolini, che di certo calabrese non era e tanto meno può rappresentare una sorta di conservatore, il quale soleva dire: Io sono una forza del passato. Solo nella tradizione è il mio amore. Probabilmente anche un Amarcord poteva andare bene, ma si trattava di scegliere chi aveva anima, vissuto e conoscenza reale del mondo che avrebbe voluto narrare anche se solo per otto minuti. Buona visione.